Donald Trump ha scelto inaugurare una nuova era sotto il segno della brutalità. Ce ne siamo accorti durante le sue prime scaramucce internazionali e con le prime espulsioni di immigrati irregolari.
La Casa bianca ha voluto spingere sull’acceleratore anche in altri due ambiti simbolici dell’approccio ultraconservatore della nuova amministrazione, tagliando gli aiuti sociali ai meno abbienti sul fronte interno e l’assistenza umanitaria o per lo sviluppo sul piano internazionale. Trump però ha voluto spingersi troppo oltre e troppo velocemente: il congelamento immediato delle sovvenzioni sociali, adottato lunedì, è stato ritirato due giorni dopo.
È un primo passo indietro, forzato dalle proteste e dalle cause legali scatenate da una decisione che colpisce milioni di persone in difficoltà, ma l’amministrazione tornerà sicuramente alla carica con misure più mirate sulle questioni legate al genere, alla diversità e all’ambiente, vere e proprie ossessioni ideologiche del nuovo Partito repubblicano.
Quanto agli aiuti internazionali, il congelamento per novanta giorni non è stato messo in discussione, perché l’argomento non ha la stessa rilevanza a Washington. Ma il malessere esiste e l’amministrazione ha già introdotto le prime eccezioni, a cominciare dagli aiuti a Israele e all’Egitto, esclusi dai tagli. Gli aiuti civili all’Ucraina sono stati invece eliminati, dunque le ong che ne beneficiano saranno fortemente penalizzate. L’assistenza alimentare di emergenza è stata confermata, insieme ai programmi che “salvano vite”: una definizione piuttosto vaga.
La decisione della Casa bianca è stata imposta in modo brutale e con effetto immediato, anche per i programmi in corso. Sessanta funzionari dell’Usaid, l’agenzia federale per gli aiuti internazionali dal considerevole budget di 42 miliardi di dollari, sono stati sospesi all’inizio della settimana. Il personale è stato invitato a non sabotare le direttive dei politici.
In questo contesto bisogna tenere presente che gli Stati Uniti sono di gran lunga il primo contributore mondiale nel campo degli aiuti internazionali, con circa il 40 per cento del totale, molto di più rispetto al peso del paese nell’economia mondiale. La nuova amministrazione ha evidentemente il diritto di modificare le priorità del governo, ma il modo in cui Donald Trump agisce è prima di tutto politico ed è una prova di forza e determinazione.
Quale sarà l’impatto di queste decisioni? Un esempio: Filippo Grandi, a capo dell’agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati, ha annunciato ai suoi collaboratori la sospensione di tutti gli spostamenti, di tutti gli eventi e di tutte le assunzioni. Parliamo di un’agenzia il cui lavoro è riconosciuto per la sua efficacia nell’assistere milioni di rifugiati.
In questo modo, una ong umanitaria internazionale che riceve il 20 per cento del suo budget dall’Usaid non saprà come finanziare il suo personale attivo in contesti pericolosi.
Al momento non si sa ancora se le esenzioni riguarderanno anche i programmi di assistenza per i malati di Hiv, che aiutano milioni di pazienti. Nell’ambiente degli aiuti internazionali regnano la confusione e il panico.
Per giustificare le sue decisioni, l’amministrazione Trump si affida a fake news come quella sui preservativi inviati a Gaza, smentita immediatamente dalla stampa americana sulla base dei rapporti dell’Usaid. Poco importa, i paladini delle “verità alternative” vanno avanti per la loro strada.
L’offensiva è destinata a mostrare un presidente onnipotente che aiuterà solo quelli che gli giureranno fedeltà. Il rischio è quello di spingere molti paesi tra le braccia della Russia e della Cina, ben felici di denunciare l’egoismo della superpotenza americana. La potenza è un’arma che va utilizzata con parsimonia.
(Traduzione di Andrea Sparacino)
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