Mitt Romney e Paul Ryan hanno avuto la loro occasione. Clint Eastwood e la sua sedia hanno lasciato il segno tra l’imbarazzo generale. Ma alla convention democratica i riflettori si sono accesi su un’accoppiata molto più stuzzicante: il presidente Obama e il suo predecessore democratico Bill Clinton.
I due non si amano molto. Obama, cresciuto politicamente durante la presidenza Clinton, ha detto che non gli è piaciuto il modo in cui l’ex presidente ha tradito l’elettorato liberal sulla riforma del welfare negli anni novanta: nel 2008, in campagna elettorale, aveva messo l’accento sulla “convinzione” che avrebbe dovuto cancellare i “calcoli” dell’era Clinton, rappresentati secondo lui da Hillary. Clinton, da parte sua, ha fatto di tutto per impedire l’elezione di Obama, e da quando Obama è diventato presidente è sconcertato da un uomo in grado di far approvare la riforma sanitaria ma incapace di tenersi buoni i finanziatori.
Eppure il glaciale e distaccato presidente e il suo espansivo predecessore hanno bisogno l’uno dell’altro. Obama, nonostante le indubbie capacità dialettiche, non riesce a toccare il cuore del ceto medio americano come sapeva fare Clinton (a onor del vero, nessuno ci riesce). Clinton è un comunicatore talmente efficace, e un simbolo talmente forte della prosperità americana degli anni novanta, che perfino Romney l’ha citato nei suoi spot in tv. Perciò Obama ha chiesto a Bill di perorare la causa della sua presidenza nel discorso di mercoledì sera, originariamente affidato al vicepresidente Joe Biden.
Traduzione di Fabrizio Saulini
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