Mai fidarsi dei giornalisti. Sopratutto di quelli che citano libri che non hanno letto. Due anni fa ho pubblicato una storia del ciclismo italiano. Si chiama [Pedalare!][1]. Durante la ricerca per il libro mi sono appassionato della storia di Fiorenzo Magni, che è morto il 19 ottobre scorso.

Magni è stato un ciclista straordinario, il “terzo uomo” che sfidava Coppi e Bartali, il leone delle Fiandre. Ha vinto tanto, nonostante Fausto e Gino, e nonstante la guerra. Era l’uomo del Giro del 1956, che ha corso una tappa con la clavicola rotta. Un mito. Ma c’e sempre stata un’ombra sulla carriera di Fiorenzo Magni. Dopo l’8 settembre del 1943 ha combattuto “dalla parte sbagliata”, cioè con la Guardia nazionale repubblicana.

Siamo nel gennaio del 1944. C’è uno scontro fra partigiani e fascisti vicino a Vaiano, il paese di Magni. I fascisti circondano un gruppo di partigiani e, alla fine, tre antifascisti sono uccisi. In seguito alcuni partigiani catturati vengono torturati. È una battaglia importante, non tanto per il numero dei morti, ma perché è uno dei primi scontri in Toscana tra fascisti e antifascisti. È cominciata la guerra civile. Per questo viene chiamata “la strage di Valibona”.

Dopo la guerra, nel gennaio del 1947, a Firenze c’è il processo per la strage. Tra gli accusati c’è un giovane ciclista, già abbastanza conosciuto: Fiorenzo Magni, di Vaiano. Il processo è molto seguito nella stampa. Magni, intanto, non può correre il Giro d’Italia del 1946. È sospeso della federazione ciclistica. Peraltro è ufficialmente latitante. Non si presenta al processo.

L’accusa chiede trent’anni per lui, come per tanti altri. L’avvocato di Magni chiama Bartali a testimoniare, ma non si presenta neanche lui. Invece c’e Alfredo Martini (ciclista ed ex partigiano) che dichiara: “Il Magni che è corridore ciclista fino al 25 luglio 1943 mi è parso un’ottima persona”.

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Il 24 febbraio 1947 Magni è assolto (e alcune accuse cadono grazie all’aministia di Togliattti del 1946). È un uomo libero e ritorna a correre. Però non torna a vivere nella “sua” Toscana. Resta al nord per il resto della sua vita.

Come ho scritto nel mio libro, però, “Magni restò una figura molto odiata nella sua zona d’origine, e si dice che quando il Giro passò da quelle parti nel 1947 alcuni abitanti locali tentarono di aggredirlo”.

Nonostante il verdetto del processo, l’etitchetta di “fascista” gli rimane attaccata per molti anni. Quando vince il Giro nel 1948 (dopo il ritiro di Coppi) Magni viene fischiato dal pubblico a Milano e Alfonso Gatto dell’Unità gli dà del “collaborazionista”.

Ma dal 1947 nessuno è andato a cercare i documenti del processo di Valibona. Io li ho trovati nel 2007 a Perugia. Li ho fotocopiati. E sono venute fuori delle sorprese.

Ho trovato dei documenti usati dall’avvocato di Magni al processo di Firenze del 1947 che dicevano che lui a Monza, nel 1945, aveva aiutato la resistenza. Erano documenti che rovesciavano, almeno in parte, la versione di Magni “fascista”.

Ma questi documenti dovrebbero essere letti con grandissima cautela. Una cautela che io ho usato nel libro. Non ho mai scritto che Magni non era presente alla battaglia di Valibona. Non ho mai scritto che questi documenti lo “scagionavano” delle accuse durante e dopo la guerra. Ho detto solo che, se questi documenti sono autentici, buona parte della storia politica di Fiorenzo Magni dev’essere riscritta.

Non sapremo mai la verità fino in fondo. Magni non ha mai voluto parlarne. Resta la memoria di quelli che c’erano, resta il processo e restano i documenti. Resta anche la superficiliatà dei giornalisti che non leggono i libri che citano, e non si prendono cinque minuti in più per capire una storia complicata e molto contorta.

E poi resta nella storia, questa sì, la grandezza di un ciclista d’altri tempi.

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