Jonathan Nossiter sarà presente al cinema Adriano di Roma alle 20.15 di lunedì 30 settembre per presentare il film in sala e sarà al [festival di Internazionale][1] a Ferrara, dal 4 al 6 ottobre.
Grace Kelly in Delitto Perfetto di Alfred Hitchcock.
Se navigate su internet per più di un’ora al giorno (sì, scherzo…) e guardate la maggior parte dei film sul vostro computer (sto sempre scherzando, purtroppo) allora avete un appuntamento urgente con il Cinema ritrovato. Forse vi cambierà la vita e magari dopo parlerete di “vita ritrovata”.
Per quante ore al giorno seguite l’infinito flusso di aggiornamenti su Facebook, le mitragliate di tweet su Twitter e la combustione spontanea delle pagine “selezionate” di notizie e dei siti culturali? Quale che sia la mole di input che ricevete, siete confortati dal pensiero che Wikipedia (o Imdb, se parliamo di film) possa risolvere ogni dubbio e ottenere tutte le informazioni che vi servono in qualsiasi momento.
Non avete alcun bisogno di accumulare conoscenza, perché le informazioni sono tutte lì, a portata di mano. Ma la verità è che le informazioni fini a se stesse sono amorfe. Insignificanti. Non possono essere tramandate. L’era dell’informazione è riuscita forse meglio di qualsiasi leader fascista, dittatore o populista anti-culturale a interrompere un processo di trasmissione culturale vecchio di diecimila anni.
Invece l’acquisizione della conoscenza ha protetto gli uomini dagli abusi di potere e gli ha permesso di costruirsi una vita complessa e piena. Ossia l’acquisizione di una conoscenza che può essere tramandata. Che riflette il giudizio critico e la comprensione storica. Che focalizza il presente perché è incorniciata nel passato. Una conoscenza basata sull’idea che i valori condivisi hanno valore.
Su internet siete liberi. Liberi di fare, leggere e vedere quello che volete. Ma è una libertà condizionata. In generale non facciamo altro che ricevere una mole spaventosa di informazioni indifferenziate. Senza il filtro dell’intelletto e della cultura, fondamentale per valutare e ritrasmettere l’input iniziale, non stiamo affermando nessuna libertà umana.
Al giorno d’oggi siamo portati a considerare la realtà virtuale come realtà primaria. Questo è particolarmente evidente nel mio mestiere, il cinema. O meglio, il mio mestiere agonizzante. La rapida scomparsa nei cinema del pubblico per film cosiddetti “culturali” è un fatto innegabile nel mondo intero. L’età media di quelli che entrano nelle sale per vedere un film che abbia una minima ambizione culturale è aumentata esponenzialmente. Negli anni settanta e ottanta erano i ventenni. All’inizio degli anni novanta erano i trentenni. Ora sono gli ultracinquantenni.
Senza i giovani a riempire le sale in cui non si è costretti a ingurgitare pop-corn per poter non sentire dialoghi imbecilli, i cosiddetti cinema d’essai stanno chiudendo i battenti in tutto il mondo. Non ci si può sorprendere allora se oggi il cinema non è più visto come la forma d’arte più vitale dai giovani (ma non chiedetemi cosa l’abbia sostituito).
Magari qualcuno di voi si chiederà cosa c’è di male a guardare un film in dvd o a scaricare una copia pirata su internet. Niente, a parte il fatto che è un atto molto simile alla masturbazione: un’attività senz’altro onorevole che però non va confusa con l’atto di fare l’amore con un’altra persona.
Il problema, però, non riguarda soltanto gli spettatori. Chi fa cinema ha sempre lavorato pensando al contesto della proiezione del film. Un tempo gli sceneggiatori immaginavano la loro storia svolgersi su uno schermo gigante, uno spazio mitico che oltrepassa la realtà. Anche quando giravano un intimo dramma familiare, i registi hanno sempre pensato all’inebriante sproporzione tra l’immagine sul grande schermo e lo spettatore. Oggi un regista hollywoodiano (anche quelli dei film d’azione) deve tenere presente che una parte sempre più rilevante del suo pubblico scaricherà il film per guardarlo sullo smartphone o sul tablet, mentre sale sulla metro o lo tiene aperto sul browser con altre cinque finestre. Questa evoluzione influenza inevitabilmente la scelta della storia, il modo di raccontarla e l’impatto sul pubblico delle immagini e dei suoni.
Qual è la differenza tra guardare un film a casa (in dvd o scaricato da internet) e andare al cinema per vederne uno in pellicola 35 millimetri o in una copia digitale in altissima definizione? Nel cinema l’emozione nasce dalle luce e dalla consistenza fisica dell’immagine. La trama e i personaggi attivano la nostra capacità di desiderare e sentire, ma la reazione emozionale e retinica, quella non intellettuale, è data dal modo in cui percepiamo la grana dell’immagine e la qualità della luce. E questo che dà vita a un film, proprio come accade alle piante grazie alla fotosintesi.
Al buio di una sala cinematografica, senza altre fonti di distrazione luminosa, ci troviamo in una scatola dei sogni. La luce che arriva da uno schermo dieci, venti, cinquanta volte più grande di una persona è singola, invadente, emozionante. Ci pervade . La consistenza della stampa in 35 millimetri su pellicola o di una proiezione digitale in alta definizione (in grado di riprodurne alcune caratteristiche) genera un effetto simile all’osservazione di un quadro dal vivo in un museo. Davanti a un quadro si può sentire l’impasto, si può apprezzare l’effetto creato dagli strati di pittura. I nostri occhi stabiliscono una connessione visuale-emozionale. Pensate all’enorme differenza che c’è tra una riproduzione su libro (o peggio ancora, su un piatto schermo digitale) di un Van Gogh, di un Picasso, di un Tiziano o di un Velazquez e la meraviglia ispirata dagli originali. È la stessa differenza che passa tra un film concepito per il grande schermo e la sua imitazione tascabile o ridotta per il monitor di un portatile.
Altrettanto importante – e perfino urgente in un’epoca di piaceri sempre più privati e virtuali – è l’aspetto pubblico dell’andare al cinema. In una tradizione che affonda le sue radici nell’agorà greca e nel foro romano, la condivisione di un evento culturale e politico (e un film racchiude tutti e due) in uno spazio comune cambia radicalmente la nostra percezione, e trasforma un piacere privato in un atto politico. Senza diminuirne il piacere.
Prima dell’avvento di internet, del dvd e delle videocassette i film erano concepiti (come lo sono sempre) come una forma di intrattenimento. Ma erano anche immaginati come uno strumento critico per consentire alla gente di “discutere” in pubblico e creare un dialogo condiviso sugli argomenti più attuali. Nel 1981 avevo vent’anni e ricordo che noi ragazzi facevamo le corse per vedere l’ultimo film di Scorsese o Fellini, spinti da un’urgenza sociale, politica e personale. Sapevamo che quei film avrebbero affrontato temi fondamentali per capire il mondo intorno a noi con un senso di libertà e bellezza irraggiungibile per qualsiasi altra forma d’espressione. Senza chat o forum ad infinitum (nauseaum?) su internet, all’epoca avevamo questo.
Però, anche se i film di allora erano chiaramente politici, erano anche concepiti come una grande festa pubblica, una specie di
rave cinematico a cui partecipava una marea di gente. Era uno spettacolo che per essere compreso a pieno doveva essere visto e vissuto in grande (letteralmente). Un bacio sullo schermo tra labbra che avrebbero potuto avvolgere dieci persone oggi è diventato un incontro microscopico tra due Barbie su un cellulare, incapace di provocare qualsiasi brivido erotico. Non c’è da stupirsi se in rete trionfa il porno anatomicamente esplicito: davanti a un piccolissimo schermo bisogna avvicinarsi sempre di più per dare sfogo all’immaginazione. Fino a quando non c’è più nulla da immaginare.
Pensate a cosa significa contemplare le sensuali linee intorno alle scapole di una delle donne più affascinanti mai apparse sullo schermo, la Grace Kelly del Delitto Perfetto di Alfred Hitchcock. Proiettate su uno schermo largo venti metri in occasione di un’anteprima per la stampa nel cinema Adriano di Roma, le movenze della schiena dell’attrice, scoperta da una scintillante robe de chambre dell’epoca mentre si allontana dalla telecamera, hanno provocato un sussulto udibile in una platea composta da giornalisti piuttosto cinici.
Diciamo le cose come stanno: guardare su dvd un film pensato per il grande schermo è come bere un vino analcolico. Si riceve l’idea ma non l’effetto.
A mio parere la proposta più intrigante e innovativa attualmente nelle sale (insieme all’ultimo film di Scola) è una serie intitolata il Cinema ritrovato, curata da Gianluca Farinelli della Cineteca di Bologna. Dopo trent’anni di ammirevole lavoro come uno dei più stimati curatori e restauratori del mondo, Farinelli ha offerto la più coraggiosa risposta possibile al declino degli spettatori dei film d’autore. Mentre tutti gli altri si affannano vigliaccamente per adeguarsi alla nuova realtà mediatica, comprimendo le loro ambizioni sulla natura del film e della sua visione, Farinelli ha spinto il suo Ronzinante nella direzione opposta.
Ogni mese, fino a giugno dell’anno prossimo, il Cinema ritrovato porterà un classico del cinema sapientemente restaurato nelle sale italiane. Per la maggior parte degli spettatori sarà la prima occasione di provare il brivido vertiginoso di ammirare un capolavoro nel modo in cui è stato concepito. La scelta dei film è assolutamente eterogenea: si va dall’improbabile combinazione tra Totò, Anna Magnani e Ben Gazzara dello spassoso Risate di Gioia di Mario Monicelli a Les Enfant du Paradis, incantevole racconto epico della Parigi del diciannovesimo secolo firmato da Marcel Carné (e per cui François Truffaut avrebbe scambiato la sua intera produzione) fino alla scena di Chinatown in cui Roman Polanski (regista e in questo caso anche attore) taglia il naso di Jack Nicholson con una coltellata che vi darà la sensazione di essere penetrati da quella stessa lama, proprio mentre cercate di districarvi in una delle trame più enigmatiche e complesse della storia del cinema (capito Quentin Tarantino?).
Come per magia, film che pensavate di conoscere vi regaleranno un’esperienza virginale. Fino a quando non mi sono accomodato su una poltrona del cinema Adriano la settimana scorsa, mi consideravo indifferente a Hitchcock e ancora di più al 3D, perché entrambi mi sembravano contratti, senz’aria, troppo calcolati e disinteressati alle emozioni umane, tanto dei personaggi quanto degli spettatori. Ma negli ultimi trent’anni i film di Hitchcock li avevo visti soltanto su dvd o in tv, e seduto in quella sala buia, mentre il film cominciava a solleticare i miei sensi (e quelli della persone attorno a me) ho capito che in realtà non li avevo visti affatto. Delitto Perfetto, che prima di allora mi era sempre sembrato un giallo trito e stantio, si è trasformato sul grande schermo in una devastante meditazione su quanto possano essere soffocanti il matrimonio e un qualsiasi rapporto di coppia (la relazione adulterina del film è più avvelenata del matrimonio!), e di come possano spingere verso fantasie criminali. Quello che consideravo un film di genere piuttosto datato mi ha rivelato la sua profondità, la sua vitalità e la sua modernità.
E poi c’è il piacere viscerale di guardare un film girato alla perfezione – sceneggiatura, attori, posizionamento della cinepresa, luce, arredi, ritmo – ma che non è costruito per guidare passo passo la reazione dello spettatore. Oggi molti film d’autore bevono come cuccioli obbedienti dalla pozza di un sentimentalismo politically correct. Mentre spesso i film di Hollywood partono da studi di marketing e posizionamento del prodotto (è vero, non sto esagerando) e vengono girati da registi/burocrati che calcolano minuziosamente l’effetto delle scene sugli spettatori per soddisfare i progetti di marketing (fino a provocare il desiderio di comprare i prodotti derivati.) Il risultato è che lo spettatore non è più libero di interpretare ciò che ha davanti agli occhi, perché tutto è preconfezionato su misura.
Delitto Perfetto, invece, è talmente ricco e peculiare nel ricorso ai dettagli che ognuno può immaginarlo a modo suo e allo stesso tempo ci si rende conto di vivere un esperienza condivisa.
L’attento restauro della tecnologia 3D dei primi anni cinquanta mi ha fatto cambiare idea anche su questo effetto clamorosamente barocco. Sullo schermo ogni oggetto nell’appartamento dove si svolge gran parte dell’azione prende vita. La fisicità delle cose e delle persone crea un ambiente dove il brivido diventa reale, quasi palpabile. Considerando che tutti i gialli ruotano attorno a dettagli concreti, si tratta di un aspetto non banale. Anzi determinante. Il film stesso diventa interattivo fisicamente, intellettualmente ed emotivamente, in un modo che nessun creatore di videogame potrebbe mai immaginare.
La visione pubblica di questo film produce un altro beneficio collaterale: nei momenti di maggiore suspense la paura dello spettatore è aumentata dal fatto di essere condivisa con altre cento persone. Inoltre, fatto ancora più importante, la sala cinematografica favorisce la diversità delle reazioni a un film la cui complessità tonale è molto sottile. Se lo avessi visto da solo forse non avrei riso alle prime digressioni nella commedia, ma quando alcuni spettatori nella sala si sono lasciati andare a una risata anche in momenti drammatici, mi sono sentito autorizzato ad accogliere liberamente la vena comica accanto a quella drammatica. E così la reazione al film è diventata in sé un complesso dialogo tra noi spettatori.
Ai più giovani il Cinema ritrovato offre un ulteriore vantaggio, paradossalmente dovuto proprio a internet. Negli ultimi anni in Italia si è diffusa l’usanza di scaricare i film in lingua originale e sottotitolati, e di conseguenza molti italiani sotto i quarant’anni potranno ricevere il regalo di dieci film proiettati sul grande schermo nella loro lingua meglio dei più anziani, anestetizzati fin dall’infanzia dalla pratica del doppiaggio.
In un’epoca in cui siamo bombardati senza sosta dalle immagini di Instagram, YouTube, Vimeo e Facebook, è arrivato il momento di chiederci cosa significa godere delle immagini in movimento accompagnate dal suono e montate in forma narrativa. C’è ancora posto per quell’esperienza collettiva di narrazione audiovisiva conosciuta come cinema?
Andate a vedere i film del Cinema ritrovato e troverete la vostra risposta. Per quanto mi riguarda – da uomo dipendente, distratto e ammaliato dalla frenetica evoluzione di internet quanto lo siete voi – ho riscoperto la magia di lasciarmi incantare da un singolo enorme schermo con un unico flusso di immagini. Per farlo ho dovuto ricorrere a un livello di concentrazione di cui non mi credevo più capace. Il Cinema ritrovato è un antidoto alla bulimia di immagini e informazioni con cui internet ci invade il subconscio. Vedere il film di Hitchcock e le altre gemme proposte da Farinelli è un’esperienza lontana dal mondo dell’informazione. Aumenta la nostra conoscenza. Degli altri e di noi stessi. È un tuffo liberatorio nel passato. Per migliorare il futuro collettivo.
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