Gli editori di riviste scientifiche sono stati tra i primi ad accorgersi di cosa stava succedendo. Nelle prime settimane di lockdown dovuto al covid-19 i direttori hanno notato un calo dei lavori inviati da donne. Nello stesso periodo gli articoli inviati da uomini sono aumentati. Fin dall’inizio, dunque, il lockdown ha significato qualcosa di diverso per gli uomini e per le donne. E il motivo è tanto ingiusto quanto evidente. Gestire una famiglia è un lavoro a tempo pieno. Ma avere la responsabilità di una scatola piena di esseri umani spaventati nel bel mezzo di una pandemia è un lavoro a tempo pieno in modalità incubo. Quasi nessuno è fisicamente in grado di farlo mentre fa un lavoro retribuito a tempo pieno, e in quarantena gestire una famiglia è un lavoro senza orari. I piatti vanno lavati e rilavati. Bisogna impedire ai bambini di fare vandalismo domestico. Non si può fare affidamento su baby-sitter, nonni o altri parenti. La macchina dei servizi comunali per l’infanzia è ferma da mesi e il carico dei lavori dei genitori, che era già estenuante, è raddoppiato o triplicato.
Per carità, gli uomini ci stanno provando, ma le prime statistiche sembrano indicare che comunque il carico ricade per la maggior parte sulle donne. La divisione del lavoro domestico è sempre difficile da valutare con esattezza perché il suo studio si basa sui dati riferiti dai diretti interessati, e le donne, lacerate dal senso di colpa per non essere abbastanza brave a “fare tutto”, tendono a sottostimare le ore che passano a occuparsene.
Dal canto loro, gli uomini sovrastimano il loro contributo. Lo dice un recente sondaggio condotto tra più di mille genitori statunitensi: il 45 per cento dei padri dice che ora fa più faccende domestiche, ma solo il 25 per cento delle madri concorda (non c’è nessun disaccordo nelle coppie riguardo al fatto che il contributo delle madri sia aumentato). Inoltre, secondo il New York Times, che ha intervistato più di duemila statunitensi, solo il 3 per cento delle donne concorda con quanto dice quasi il 50 per cento dei mariti, e cioè che gli uomini si starebbero occupando maggiormente dei figli impegnati nella didattica a distanza.
Nei periodi di crisi economica, quando il tessuto sociale si sfalda, sono le donne che si fanno avanti per rappezzarlo
Ecco ora le conclusioni di uno studio dell’istituto Cambridge-Inet: durante il lockdown sia negli Stati Uniti sia nel Regno Unito le madri hanno svolto circa il 50 per cento in più della cura dei figli rispetto ai padri, ma si occupano di più anche dei figli che fanno lezione da remoto, e molte per farlo hanno dovuto rinunciare a lavori a cui tenevano. Quando finirà il lockdown e scoppierà la recessione, quante donne riusciranno a tornare nei posti di lavoro che hanno dovuto lasciare perché non c’era nessun altro che si occupasse dei figli?
Nei periodi di crisi economica, quando il tessuto sociale si sfalda, sono le donne che si fanno avanti per rappezzarlo. Nella geopolitica e nella vita privata, gli uomini sporcano e subito arrivano le donne a pulire: per giunta si pretende che lo facciano senza lagnarsi, perché “qualcuno lo deve pur fare”. Ora, una comunità può benissimo funzionare per qualche settimana senza commercialisti, ma senza cura dei figli, cucina e pulizie domestiche va in pezzi. È questo il momento di lamentarsi di problemi prosaici come quello del lavoro domestico? Sì, è proprio il momento giusto. Perché il lavoro domestico non è affatto terra terra, e la pandemia l’ha dimostrato.
Il lavoro più cruciale, il lavoro essenziale per il funzionamento quotidiano di ogni comunità e di ogni nucleo familiare del pianeta è quello di prendersi cura gli uni degli altri: curare gli ammalati, crescere i piccoli, tener pulita la cucina. È un lavoro sottopagato e lo fanno prevalentemente le donne. Le stime sul vero valore del lavoro non retribuito delle donne lo collocano tra il 10 e il 39 per cento del pil di quasi tutti i paesi avanzati: una percentuale superiore a quella rappresentata dalla manifattura, dal commercio o dai trasporti. Questa constatazione di solito è presentata come moralmente neutrale, anziché come una prova del fallimento di una società.
Liberazione?
La verità è che gli uomini vogliono ancora le casalinghe. In questi ultimi decenni l’occupazione femminile è aumentata fino a uguagliare quella maschile, ma la quota di lavoro domestico svolta dagli uomini non è aumentata in proporzione. In realtà certi atteggiamenti sembrano regredire: anche uomini che si considerano progressisti possono mostrarsi poco disponibili a rinunciare al privilegio di avere una donna che si fa carico delle mansioni noiose. La divisione impari del lavoro domestico è l’ultima battaglia ancora da combattere della liberazione della donna. In passato è stato impossibile combatterla, perché si svolge nelle cucine, dietro le porte delle camere da letto, insomma nel quadro di rapporti privati e individuali che precludono alle donne ogni forma di organizzazione collettiva.
Secoli fa quasi tutti lavoravano da casa. Prima della rivoluzione industriale c’erano poche distinzioni tra il lavoro che serviva a produrre cose che si potevano vendere (carne, granaglie, tessuti e manufatti) e la gestione della famiglia. Cucinare, pulire e crescere i figli non erano attività separate. È solo in questi ultimi cinquant’anni che la gestione di ogni casa è stata scaricata addosso a una sola donna in assenza di una rete assistenziale. Ed è solo da due generazioni che la definizione di “liberazione” delle donne è diventata il discutibile privilegio di lavorare a tempo pieno nell’economia retribuita e al tempo stesso rompersi la schiena dentro casa senza uno stipendio.
Per molte donne, e in particolare per molte madri, la casa è un ambiente di lavoro ostile. Ma con una pandemia globale che accende i riflettori dell’attenzione generale sulla sfera domestica come mai prima d’ora, proprio nel momento in cui in tutto il mondo le donne raggiungono il loro punto di rottura, qualcosa sta cambiando. Nei forum di discussione, su Twitter, su Facebook, donne e ragazze dicono apertamente che sono stremate, ma al tempo stesso prendono coscienza di non essere le sole e capiscono che qualcosa si può fare e va fatto.
In una pandemia non è accettabile ripetere che sei un adorabile imbranato e quindi non puoi pulirti il bagno da solo. Ho perso il conto delle conferenze che ho fatto su Zoom con donne che a un certo punto si scusavano perché dovevano andare a occuparsi dei figli (come se avere figli fosse poco professionale). Ho perso il conto delle conversazioni con amiche convinte che quello del lockdown sarebbe stato il momento in cui gli uomini che amavano avrebbero finalmente capito quanto sforzo richiede la cura di una famiglia; invece è venuto fuori che lo sapevano già, solo che non avevano voglia di farlo loro. È ancora culturalmente accettabile che un uomo lasci queste incombenze a una donna. La società non giudica gli uomini che si fanno servire e riverire dalle loro partner già esauste, mentre insulta le donne che chiamano in causa gli uomini.
È ora che il lavoro domestico abbia il suo #MeToo. È ora che tutte quelle conversazioni che si facevano in privato siano fatte collettivamente, in pubblico
In questi ultimi dieci anni i social network hanno infranto l’illusione che quello che succede tra le pareti domestiche non possa essere politico. Di colpo, fingere di farcela a fare tutto appare molto fuori moda. I milioni di madri dalle chiome lucidissime che si vedono su Instagram possono finalmente rilassare quei finti sorrisi da rictus e ammettere quanto faticano a mandare avanti la casa. Ora le donne hanno i mezzi per confrontare i loro appunti e condividere le esperienze, proprio come l’hanno fatto durante il movimento #MeToo, grazie al quale hanno cominciato a parlare come mai prima di un’ingiustizia privata, quella della violenza sessuale.
È ora che il lavoro domestico abbia il suo #MeToo. È ora che tutte quelle conversazioni che si facevano in privato siano fatte collettivamente, in pubblico, e che le donne pretendano qualcosa di meglio. È ora che le nostre società riconoscano che non puoi dire di amare una persona e al tempo stesso trattarla come una donna di servizio non retribuita; che un uomo adulto incapace di far funzionare una lavastoviglie se nessuno glielo chiede non è in grado di gestire nulla di più complesso, come un’azienda o un paese; che pretendere che sia la tua partner ad accollarsi la maggior parte del lavoro domestico senza ricevere un soldo e senza lagnarsi non è solo mancanza di rispetto, è moralmente indifendibile.
Nel momento in cui il mondo emerge barcollante dallo psicodramma del lockdown e la nostra specie cerca di rimettere ordine nella sua casa, le donne non possono e non devono continuare a pulire dove gli uomini hanno sporcato.
(Traduzione di Marina Astrologo)
Questo articolo è uscito sul numero 1361 di Internazionale. Compra questo numero | Abbonati
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