L’altro giorno ho visto un film che dura cinque ore e 20 minuti. A Cannes, dove tutti corrono e si lamentano per la lunghezza fiume dei film in concorso (ed è vero che due ore sembra che sia diventata di default la durata di un film d’autore), dover impiegare quasi sette ore tra andata, fila, prima parte del film, intervallo, seconda parte del film e ritorno è un sacrificio enorme.

Ma ne valeva la pena. Non so se il cinema indiano abbia trovato il suo Coppola o Scorsese, o se la sua industria cinematografica è pronta per la nascita di una specie di

nouvelle vague, come quella che ha dato vita alla nuova generazione di registi nei primi anni settanta negli Stati Uniti. Una cosa è certa: [Gangs of Wasseypur][1] è divertente, drammatico, ben costruito e ha un cast eccezionale. È un film che sprizza energia da tutti i pori.

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Un padrino indiano? Lo si potrebbe definire così. Al centro della storia ci sono i Khan, un clan musulmano a capo della mala di Wasseypur, un distretto urbanizzato dello stato indiano di Jharkhand nel nordest del paese, dove l’economia è tradizionalmente legata all’industria del carbone. Una faida che va avanti da tre generazioni oppone i Khan ai loro rivali, i Qureshi, che di mestiere fanno i macellai. Un politico corrotto, Ramadhir Singh, manipola la faida per arricchirsi e accrescere il suo potere. È lui il vero padrino, anche se ha un tallone d’Achille: un figlio del tutto inutile.

Non ci si annoia neanche per un secondo guardando il film. Alla fine avrei voluto che durasse altre cinque ore. Ha qualcosa dello spirito di Tarantino nella sua visione sardonica di un mondo violento che non si può permettere la catarsi della tragedia. Il tono da commedia nera è rafforzato dai dialoghi, pieni di battute memorabili tipo: “A Wasseypur anche i piccioni volano con un’ala sola, l’altra serve per pararsi il culo”. Una bellissima colonna sonora mescola frasi che si rifanno alla musica tradizionale di Bihar con musica elettronica, hip-hop, e ogni tanto delle melodie di ottoni che fanno il verso a Morricone. A volte alcuni dei personaggi cantano e ballano, ma questi numeri non fermano l’azione come nei film di Bollywood.

Perché Gangs of Wasseypur, pur essendo un film con buone prospettive commerciali, non è esattamente un film di Bollywood. Il regista, Anurag Kashyap, è un indipendente, che in passato ha fatto dei film anche difficili come Black Friday, sugli attentati terroristici del 1993 a Mumbai.

Gangs è un film che dimostra dove potrebbe arrivare Bollywood. Fa vedere un cinema indiano in piena salute. Speriamo che qualche distributore italiano coraggioso decida di prenderlo.

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