Uno vale uno: quel motto, principio guida del Movimento 5 stelle (M5s), oggi andrebbe riscritto. Vale solo uno, sarebbe questa la nuova versione, nata dal duello feroce fra Beppe Grillo e Giuseppe Conte: vale o il garante o l’ex presidente del consiglio, mors tua vita mea.
È un conflitto che, al di là dei suoi effetti drammatici sull’M5s, ma potenzialmente anche sul sistema partitico italiano, ha i suoi risvolti comici. Potremmo cominciare dal fatto che Grillo accusa Conte di aver prodotto uno “statuto seicentesco” e riceve come risposta che quello ipotizzato dal comico sarebbe invece uno statuto “medievale”. Potremmo continuare con l’invettiva del garante secondo cui l’avvocato sogna un “partito unipersonale”, a cui Conte risponde con la stessa moneta, affermando di non avere nessuna intenzione di fermare il suo progetto soltanto per il volere di “una singola persona”.
E che dire dell’affermazione di Grillo secondo cui Conte non avrebbe capito il carattere dell’M5s, “organizzazione orizzontale”, “movimento nato per diffondere la democrazia diretta e partecipata”? Viene da ridere di fronte a una resa dei conti che non ha niente di “orizzontale”, di fronte a un corpo a corpo tra Grillo e Conte piovuto verticalmente dall’alto come un fulmine a ciel sereno che riduce ministri, parlamentari, attivisti ed elettori dei cinquestelle ad attoniti spettatori.
Che dire inoltre di un’“organizzazione orizzontale” in cui il futuro leader – Conte – a fine febbraio veniva designato non con meccanismi di “democrazia diretta”, ma dal garante e pochi altri maggiorenti? In cui gli veniva data carta bianca per scrivere uno statuto secondo i suoi voleri, in perfetta solitudine e segretezza? Che dire del fatto che ancora oggi, con i cinquestelle sull’orlo della scissione, nessuno o quasi ha letto la bozza dello statuto contiano? Che dire della minaccia “orizzontale” di Grillo contro Vito Crimi di cacciarlo malamente, tipo Flavio Briatore nella trasmissione tv L’apprendista (“Sei fuori!)”, se osasse pubblicare lo statuto? Viva la trasparenza, totem dell’M5s!
Non si litiga sugli orientamenti del movimento, sui valori, sulle alleanze, sul sostegno al governo. No: si litiga su uno statuto che nessuno conosce
Almeno su una cosa però i due contendenti sono d’accordo: sulla paternità di Grillo. Ma l’accordo finisce qui: Grillo vede se stesso come “papà buono” mentre Conte lo soffre come “padre padrone”.
Finora in questo articolo non abbiamo parlato di politica? Non è un caso. La politica è la grande assente in questa guerra nucleare che non sembra altro che una lotta di potere o, per dirla più signorilmente, una contesa per la leadership. Non si litiga sugli orientamenti del movimento, sui valori, sulle alleanze, sul sostegno al governo Draghi. No: si litiga su uno statuto che nessuno conosce. Dai tempi di girondini e giacobini, di bolscevichi e menscevichi, della scissione di Livorno del 1921 o di quella di palazzo Barberini del 1947 tra socialisti e socialdemocratici, non si era mai vista una scissione come quella in corso tra i cinquestelle: i due protagonisti sono d’accordo su tutto o quasi.
Infatti non assistiamo a un conflitto fra ortodossi e pragmatici, tra governisti e movimentisti. Tutte le scelte degli ultimi anni hanno visto Grillo e Conte sulle stesse posizioni, dal varo del governo con la Lega alla coalizione con il Partito democratico (Pd), dal sostegno al governo Draghi alla ricerca di alleanze con il Pd a livello regionale e locale, dal riposizionamento dell’M5s in un nuovo centrosinistra alla volontà di riaccentuare il carattere ecologico-sociale del movimento. Anche la trasformazione dell’M5s da forza del Vaffà!, da movimento entrato nel parlamento, nel 2013, per aprirlo “come una scatoletta di tonno” a forza governativa, capace di stringere coalizioni e di esprimere ministri, ha visto i due leader dalla stessa parte della barricata.
Sono leziosi quegli articoli sui pentastellati che ancora oggi ci raccontano della presenza di terrapiattisti e no vax nelle file dell’M5s. Quel movimento politicamente è cresciuto e tanto. Può vantare di avere portato a casa risultati come il reddito di cittadinanza, di aver pilotato bene l’Italia (con il “suo” premier) attraverso la pandemia, di aver raggiunto in Europa il Next Generation EU che porterà al paese la somma ingente di 191 miliardi di euro.
Ma allo stesso tempo in tutti questi anni il movimento non è cresciuto per niente a livello organizzativo. È rimasto fermo alla contraddizione tra la sua “democrazia diretta” orizzontale (assai opinabile), fatta di voti sul web, e una leadership (in ultima istanza quella di Grillo) verticale, anzi dittatoriale, in cui il capo dava gli ordini, decideva le coalizioni, sceglieva chi promuovere e chi cacciare. E non si è sganciato dall’idea di una leadership carismatica neanche quando ha chiamato Conte come futuro capo: quel Conte che fino a oggi non è neanche un attivista registrato dei cinquestelle. È questa la tragedia del M5s: che rischia di morire malgrado abbia sempre un notevole consenso popolare, che rischia di morire perché non si è mai mostrato capace di dotarsi di strumenti di dibattito e decisione democratici al suo interno. È nato grazie al carisma di Grillo, voleva rinascere grazie al carisma di Conte. Ma alla fine i carismi erano troppi.
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