Il 1 aprile il Brasile ha commemorato il cinquantesimo anniversario del colpo di stato che instaurò una dittatura durata 21 anni. Il regime aveva creato un’architettura istituzionale che resiste ancora oggi in vari settori della società.

Tra i lasciti più evidenti, ci sono le brutalità della polizia: secondo Amnesty international, la polizia è responsabile di duemila morti ogni anno. Ma che c’entra la dittatura militare? La risposta è nell’impunità per gli abusi commessi dalle forze di sicurezza durante il regime. A differenza del Cile e dell’Argentina, in Brasile una legge di amnistia ha protetto i militari dai processi. La legge è stata messa in discussione, ma alla fine è sempre rimasta al suo posto, con il risultato che gran parte delle istituzioni militari ancora giustifica gli abusi del passato.

La polizia, che dovrebbe occuparsi della sicurezza dei cittadini, riceve un addestramento militare, è organizzata in maniera gerarchica e dipende dalle amministrazioni degli stati. Come ha spiegato alla Bbc il colonnello Ibis Pereira della polizia militare di Rio de Janeiro, la “militarizzazione significa che una favela viene equiparata a un territorio da conquistare. Significa che un gruppo criminale viene trattato come un nemico da affrontare con le armi”.

È la stessa polizia che a giugno ha represso i manifestanti con la violenza. E che si rifiuta di fornire informazioni alla stampa, perché si considera al di sopra della legge.

Traduzione di Fabrizio Saulini

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