Se siete persone mediamente indaffarate – lavoro, figli, pasti da preparare, vendette nei confronti di vicini rumorosi – forse non vedrete di buon occhio l’idea di imparare a vivere dai monaci e dalle monache.
Chi non vivrebbe un’esistenza più serena, chiuso in un monastero, libero dagli obblighi imposti dalla famiglia, dal mutuo o da un capo che manda email alle undici di sera?
Ma abbiate pazienza, ora vi spiego. Prendiamo, per esempio, la storia della monaca benedettina Joan Chittister (la racconta Edward Hallowell nel suo nuovo libro su come trovare la concentrazione in ufficio intitolato Driven to distraction at work). Quando parlava con le novizie del suo convento, ricorda Chittister, aveva l’abitudine di chiedere: “Perché preghiamo?”. E le loro pie risposte erano sempre un inno a Dio. “No”, diceva alla fine la monaca più anziana. “Preghiamo perché suona la campanella”. Certo, i princìpi contano, ma è l’organizzazione, stabilire un tempo per tutto, che ci permette di fare le cose.
“Perché suona la campanella” è una buona sintesi del modo di vedere il tempo che troviamo nella Regula monachorum, la regola di san Benedetto, il manuale del sesto secolo che la maggior parte degli ordini cristiani usa come base per organizzare le sue giornate.
La regola divide la giornata in convento e nel monastero in periodi precisi – per la preghiera in solitudine, per quella in comune, per il lavoro, il riposo, il sonno – separati tra loro dal suono di una campanella. Per essere buoni monaci o buone monache non conta tanto l’intensità della fede quanto il rispetto di quei tempi. “Quando la campanella annuncia che è arrivato il momento di occuparsi di altro”, scrive lo studioso cattolico Wil Derkse, “si smette di fare una cosa e si passa a un’altra… La regola benedettina consiste prima di tutto nel distogliere l’attenzione dal passato e rivolgerla a quello che c’è da fare in quel momento”.
Perché dobbiamo dedicarci a questa particolare attività proprio ora? Perché è suonata la campanella.
Può sembrare opprimente, ma in realtà Benedetto è fin troppo pragmatico e tollerante. Sulla questione dell’alcol, per esempio, il suo commento beffardo e rassegnato è rimasto famoso nei secoli: “Per quanto si legga che il vino non è fatto per i monaci, siccome oggi non è facile convincerli di questo, mettiamoci almeno d’accordo sulla necessità di non bere fino alla sazietà, ma più moderatamente” (Regola, capitolo XL).
La gestione benedettina del tempo non è improntata al rispetto passivo della norma, ma è il tentativo, seppure imperfetto, di incarnare un’etica. Nessun compito è meno degno di attenzione degli altri, quindi anche quelli considerati banali assumono un significato più profondo. Non è necessario “aver voglia” di fare qualcosa, quando arriva il momento bisogna farlo e basta. E non è necessario affrettarsi a raggiungere un obiettivo; ogni volta che sospendiamo un’attività, sappiamo che presto la riprenderemo.
Se ancora pensate che per voi è impossibile infondere un po’ di questo spirito nella vostra frenetica vita quotidiana, sentite che cosa dice la cantautrice inglese Tracey Thorn a proposito della suocera che ha allevato tre gemelli. Come diavolo facevi, le ha chiesto, a costringere tre neonati a dormire tutti alla stessa ora? E ho il sospetto che a Benedetto la sua risposta sarebbe piaciuta: “Be’, quando arrivava l’ora del sonnellino, li mettevo tutti nei loro lettini e chiudevo la porta”, ha detto, “fino a quando non era più l’ora del sonnellino”.
(Traduzione di Bruna Tortorella)
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