Suppongo sappiate già che durante una giornata di lavoro dovreste prendervi regolarmente una pausa di sano riposo. Avrete letto che stare seduti a una scrivania è peggio che ferirsi con una motosega infettata dall’ebola; avrete sentito parlare della clausola aggiunta alla convenzione di Ginevra secondo cui pranzare alla scrivania è un crimine di guerra.
Sapete che a metà giornata dovreste alzarvi, fare qualche esercizio di yoga, un salto al parco, forse addirittura un sonnellino. Tutte le ricerche dimostrano che così sareste più felici e più produttivi, e riuscireste perfino a uscire dall’ufficio in anticipo e pieni di energia. Ma in realtà non fate mai queste cose, vero? Preferite dare un’occhiata a Facebook, leggere un blog di calcio o infilarvi distrattamente noccioline in bocca mentre guardate video di strazianti proposte di matrimonio o di incidenti con lo skateboard su YouTube.
Tutto questo non fa che sottolineare il frustrante paradosso del recupero. Perché dovreste prendervi una vera pausa? Perché siete stanchi. E perché non lo fate? Perché siete stanchi. Per fare qualcosa che ci rimette veramente in forze ci vuole una certa capacità di autocontrollo che però, come emerge da molti studi, quando siamo esausti è al livello minimo (la teoria secondo la quale la forza di volontà è una “risorsa esauribile” ultimamente è stata messa in dubbio, ma la correlazione di base tra stanchezza e decisioni sbagliate sembra sia stata dimostrata).
Le pause cognitive sono finte pause
E come spiega Christian Jarrett sul sito dedicato alla creatività 99u.com, tutti gli studi dimostrano che alla fine della giornata ci daranno qualche beneficio e ci faranno sentire ricaricati solo le attività rilassanti come lo stretching, o quelle socializzanti come le chiacchiere con i colleghi. “Le pause cognitive”, come dare un’occhiata ai social media, non sono vere pause: considerato l’impegno che richiedono al nostro cervello, tanto varrebbe che continuassimo a lavorare.
In termini di ricarica rende di più prendersi qualche pausa durante il giorno, prima di sentirne il bisogno
Come emerge da uno studio del 2014, la trappola del “sono troppo stanco per riposarmi” è ben nota a tutti quelli di noi che tendono a “procrastinare l’ora di andare a letto”, cioè a “non andare a letto all’ora prestabilita, quando non c’è nessuna circostanza esterna a impedircelo”.
Sapete tutti come capita: siete distrutti e dovreste dormire, ma andare dal divano alla camera da letto passando per il bagno vi sembra una fatica improba, mentre avete la sensazione che scorrere distrattamente il menù di Netflix, nel senso più superficiale della parola, sia rilassante.
Come era prevedibile, lo studio giunge alla conclusione che l’abitudine di rimandare l’ora di andare a letto è associata alla privazione del sonno, il che significa che la sera successiva avrete ancora meno la forza di trascinarvi nella vostra camera.
Come si fa a uscire da questa trappola? Jarrett dice che, secondo alcune ricerche, in termini di ricarica rende di più prendersi qualche pausa durante il giorno, prima ancora di sentirne il bisogno. Inoltre, la cosa migliore è uscire all’aperto, non solo perché il contatto con la natura e l’aria fresca ci fanno bene, ma perché ci sono meno schermi a distrarci (in mancanza di tentazioni non è necessario l’autocontrollo). Infine, non meravigliatevi se all’inizio non vi sentirete meglio.
Quando siamo completamente presi da un compito cognitivo, a volte smettere può essere più doloroso che continuare. Quindi, sicuramente avete bisogno di una pausa. Ma non aspettatevi di desiderarla.
(Traduzione di Bruna Tortorella)
Questo articolo è stato pubblicato dal quotidiano britannico The Guardian.
Oliver Burkeman sarà al festival di Internazionale a Ferrara dal 30 settembre al 2 ottobre 2016.
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