1. Alberto Laurenti e i Rumba De Mar, Se rinascerò

E quella tristezza cinica da canzone alla Califano, e le cornamuse (?) sul refrain, e le percussioni magrebine, e la voce roca da impunito romanesco: “Piove è la fine di un amore che non riconosco piùùùùù”. Tenetevi il vostro buon gusto, qui (nell’album Al crocevia della musica) ci sono power ballad nostrane con arrangiamenti esotici, rumba, gitani e caribbeo. Kitsch avvolgente come certi matrimoni in cui le bimbe sono truccate come Belén, cosa pessima finché non passa un Matteo Garrone a trasformarla in arte.

2. Monaci del Surf, The entertainer

Bella versione elettrificata del classico ragtime di Scott Joplin. Che pizza dev’essere deambulare con maschere messicane da wrestling, suonare bene e andarne orgogliosi, e celarsi comunque dietro quelle cavolo di maschere. Ma perché? Vabbè, i Monaci del Surf incidono a Torino e suonano strumentali surf di cose come la marcetta di Darth Vader di Guerre stellari o la Soul bossa nova di Quincy Jones. Quindi hanno buon gusto e amano le immagini forti e agiscono come se potessero entrare in qualsiasi momento in un film di Robert Rodriguez.

3. Mario Venuti, Là ci darem la mano

Quando tutte le sdrucciole si radunano erotiche, la domenica, e il cantante aziona la mandibola per scorribande nei postriboli, ci si ritrova dinanzi a una specie di incrocio tra la Mala educación e il Mulino Bianco tendenza Banderas (la Mulina educación?). Venuti è uno in gamba, di cui resta in testa sempre lo stesso verso della stessa canzone sanremese (“porta la mia vita a correre da qualche parte / e stancala”). Poi ascolti il nuovo album, L’ultimo romantico ha il gusto della buona fattura, qualche guizzo, uno stile suo, che ti ricorda che era uno bravo.

Internazionale, numero 950, 25 maggio 2012

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