1. Ninos du Brasil, Pandeiro sinchinsà

Dietro all’ortografia farlocca in cerca di una Giulia Zoli do Brasil, c’è la batucada noise italianissima di Nico Vascellari dei postpunk With Love (e il batterista e il chitarrista). L’album Muito N.D.B. è un proliferare di ritmi sporchi e meticci; più che sambodromo, sabba da favela. Il pandeiro, tamburello a sonagli; il pulsare delle congas, lo squittio della cuica, e poi percussioni illegittime ed elettronica bastarda, triccheballacche bottigliette latte bacinelle campane bovine e chissà che altro, pur di non staccare la spina del vitale baccano.

2. Giacomo Lariccia, Sant’Eccehomo

Altri vorticosi ritmi dal Belgio! Bruxelles è infatti la base operativa del romano Lariccia, cantautore già nel mirino del premio Tenco, qui titolare di una sfrenata tarantella sul qualunquismo santino de noantri, tutto pizzette e bomboloni ed elezioni. Nel suo album Colpo di sole contempla l’Italia con lo zoom: dalle fosse Ardeatine (Roma occupata) alle magagne della contemporaneità (e l’Italia “che ha il coraggio di rialzar la testa”), con quella musicalità light che il nordeuropa sa apprezzare senza capire. In Italia, invece, è ancora senza distribuzione.

3. Stazioni Lunari, Andare, camminare, lavorare

Per i vasocostretti di adesso, timidi, incoscienti, indebitati: “Il vino contro il petrolio!” e via. Pistolotto liberatorio su possibili eccellenze italiane, sogno naïf e commovente, sbronza poetica. Il temporary supergruppo di Francesco Magnelli e Ginevra di Marco (qui con Dario Brunori, Cristina Donà e Paola Turci) apre l’antologia Cosa resta di Piero Ciampi con questa predicanzone delirante e geniale dagli anni ‘70 dello chansonnier al cacciucco, che merita di uscire dal semidimenticatoio. E comunque: niente scoramenti!

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