1. Losburla, Amaro
Il gioco di sprecare quanto non si è guadagnato: il pauperismo pop si insinua lentamente nella vita in bolletta. Un piccolo capolavoro, cupo humour ebbro di treni persi a Trofarello e messaggi di protesta postati su fb con l’idea di fare controinformazione. Un piccolo Tenco per l’era notav, la rabbia che batte in testa e non ce la può fare. Ad ascoltare uno così si avverte talento avvilito. I masochisti non è la corrente artistica, è il titolo dell’album del giovane cantautore di Asti. Una volta si sarebbe detto “di belle speranze”, ma rumina davvero amaro.
2. Youssou N’Dour, Allah
E chi se lo ricordava più l’indimenticato 7 seconds con Neneh Cherry, pura gioia 1994? Eppure, l’altra settimana a Stoccolma, tutti a celebrare (con il Polar music award, sorta di Nobel della musica inventato dall’inventore degli Abba) il cantastorie senegalese esportato un quarto di secolo fa da Peter Gabriel. Ma le contaminazioni stanno a zero, ed ecco rispuntare dal solaio il suo album del 2004, Egypt, devoto alla fede islamica e al mondo dei sensi, una cosa struggente, per nulla pop, che merita di essere riascoltata.
3. Jagwar Ma, That loneliness
Una solitudine che è fruttifera, un backbeat apparentemente pigro che in realtà è botta di energia downunder dell’album Howlin’, nella nicchia delle scoperte 2013 con recuperi vari (in particolare da quella scena Madchester anni novanta quando c’era gente come gli Happy Mondays che danzava e spaccava). Non ci si è ancora stufati di mettere El Camino dei Black Keys come stordimento musicale per giocare alle macchinine, ma questi australopitechi qui possono farne le veci, sulla Polystil come sull’autostrada del Brennero in qualsiasi istante.
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