1. Massaroni Pianoforti, Alla fermata del 33

“Ma per fortuna c’è una luna che digiuna / io li ho fatti i buchi alla cintura”, e la speranza è che arrivi il tram giusto per uscire dalla “vita che mi spezza” a quella che gli spetta. L’artista come pseudonimo ha la ragione sociale dell’azienda di famiglia, fa l’accordatore, viene da Voghera, è del 1976. Quello che spicca nel suo album Non date il salame ai corvi è la capacità di sopportazione coinvolgente, di racconto sofferto, qualcosa del primo Tom Waits, del vecchio Cocciante, dell’agro Bianciardi, un piccolo grande autore di provincia, cavolo crudo e canzoni vere.

2. Foxhound, My life is so cool

Se il Marc’Antonio di Shakespeare insiste nel definire Bruto e soci uomini d’onore per dare loro la patente di farabutti, cosa si può pensare di una canzone che s’intitola più o meno “ma che ganza la vita mia”? I Foxhound, torinesi ventenni un po’ miniKasabian in grado di dissimulare bene la cittadinanza italiana che per la musica che interessa a loro fa un po’ uncool, hanno sfornato questo album che s’intitola In primavera. I titoli sono tutti in inglese, e dicono “cancellami”, “proprio non so” e “oggi non corro”. Quante amarezze: dispiace, perché sono bravi.

3. Daniele Sanfilippo, Astronaut

La vita terrena è dominata dalla forza di gramità, e lo s’intuisce da bambini, quando si vuol essere cowboy o astronauti per fuggire, nel tempo o meglio ancora nello spazio, a tante amarezze; il chitarrista, compositore e tecnico del suono Daniele ha fatto la gavetta, si è creato la sua etichetta (Suoneria Mediterranea) e ora s’imbarca in una sua odissea di delicata psichedelia con l’album Lem, come un Alan Parsons piacevolmente alla deriva su chissà quale Apollo in una nebulosa di suoni fuori dalle mode. Una piacevole avventura nel sound engineering.

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