1. Loris Vescovo, BenAnDanti
Dice Beppe Severgnini (in veste media guru) che i più interessati alle cronache da Donetsk e dintorni sono quelli con la badante ucraina; e che i venti di guerra che spirano di là destabilizzano molti ménage domestici di qua; e di come sarebbe questo il pezzo da scrivere. Be’, un pezzo esiste: una canzone dal nuovo album di questo cantautore da Trivignano Udinese: Penisolâti. Che canta di noi in friulano stretto con traduzioni a fronte. Sforzi premiati da ballate borderline, canti da villaggi sperduti, un neofolk rarefatto con orecchie e occhi puntati verso est.
2. Pierpaolo Capovilla, Bucharest
Sembra un caso da manuale di tristezza: una chanson un po’ alla Jacques Brel sull’eutanasia di un amore in un bar della capitale rumena, dal leader del Teatro degli Orrori al debutto solista con l’avventuroso Obtorto collo. “Bucharest per me / sei una città come un’altra” (è quasi Paolo Conte, o no?), ma poi Irene, probabilmente la canzone italiana migliore mai scritta su una ragazza rom, e poi la sensualità di vite disperate in crescendo (Come ti vorrei) e il fantasma di Scott Walker e il piano di Cesare Picco. Sì, è ascoltare per intero.
3. Lo Stato Sociale, Instant classic
Mi faccio una foto con “un cinese, un estone, un altro cinese”; con barchetta di sushi il Papa il nano pizze zucche tette tacchi e quant’altro purché “con la mia solita faccia da cazzo” (declamato da una partecipe Caterina Guzzanti). Canzone-elenco come un’Instagram di Georges Perec, dal recente L’Italia peggiore della band bolognese, sempre selvaggiamente sul pezzo. Notevole anche perché priva della parola “selfie”, ormai presidiata dai quotidiani come rimedio alla crisi: altroché Ucraina, tirano le gallery di foto che facciamo a noi stessi.
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