È uno dei più importanti sviluppi degli ultimi dieci anni, e non ci siamo ancora resi conto della sua portata. La Cina è diventata il primo partner del continente africano: il paese più popoloso del mondo incontra il continente che svolgerà un ruolo chiave nel ventunesimo secolo. Per due giorni il presidente cinese Xi Jinping riceverà a Pechino decine di capi di stato africani, un privilegio un tempo riservato ai presidenti francesi.
Naturalmente i leader africani hanno un chiaro incentivo a partecipare: il 3 settembre Xi Jinping ha annunciato che destinerà altri 60 miliardi di dollari allo sviluppo dell’Africa – la stessa somma stanziata al vertice di tre anni fa – di cui 15 miliardi sotto forma di doni e prestiti senza interessi. Tuttavia sarebbe sbagliato vedere in questa mossa un esempio di diplomazia “del libretto degli assegni”.
Quando è nato l’interesse
La Cina post-maoista ha cominciato a interessarsi al continente africano negli anni duemila, nel periodo in cui il rapido sviluppo della sua economia richiedeva una quantità sempre maggiore di materie prime. Le prime visite dei leader cinesi in Africa avevano obiettivi chiari: una tappa per assicurarsi il petrolio, una per il rame, un’altra ancora per l’uranio.
Da allora Pechino ha sviluppato una strategia africana, che ha favorito la crescita della potenza cinese in un mondo che è tornato a essere quello dei rapporti di forza e delle sfere d’influenza. Mentre il presidente statunitense Donald Trump ignora o disprezza l’Africa, Xi la corteggia e inaugura nuove collaborazioni.
Tutto il continente africano è incluso nel grande progetto di infrastrutture cinesi chiamato “nuova via della seta”. I cinesi hanno costruito la ferrovia che collega la capitale etiope Addis Abeba al porto di Gibuti, che sostituisce – e il simbolismo è forte – la precedente linea ferroviaria costruita dai francesi all’inizio del novecento. A Gibuti, un’ex colonia francese, c’è anche la prima base militare costruita dalla Cina fuori dal suo territorio nazionale.
In tutta l’Africa gli istituti Confucio, le scuole di lingua finanziate da Pechino, sono sempre più frequentati, a testimonianza di un legame che va oltre i contratti commerciali. Pechino infatti si presenta come un’alternativa alle vecchie potenze coloniali in crisi, in particolare agli Stati Uniti, che si disinteressano dell’Africa come ha messo in evidenza Trump quando ha parlato di “paesi di merda”.
Chiaramente c’è anche il rovescio della medaglia, come la trappola del debito
A lungo la Cina ha rivestito un’importanza modesta. Ora, però, sotto la guida di Xi Jinping, Pechino promuove un modello di capitalismo autoritario che è riuscito a sollevare centinaia di milioni di persone dalla povertà, una prospettiva in grado di sedurre un continente in via di sviluppo.
Chiaramente c’è il rovescio della medaglia, a cominciare dalla trappola del debito che minaccia vari paesi africani strettamente legati alla Cina. Inoltre, se ufficialmente gli aiuti cinesi non sono vincolati al rispetto di certe politiche, è innegabile che si siano innestati rapporti di clientelismo, all’interno dei quali i diritti umani sono tenuti in poco conto.
L’influenza cinese in Africa è diventata un importante elemento geopolitico, ma se la Cina è così forte è soprattutto perché l’occidente non ha saputo stringere rapporti equi e duraturi con il continente. Forse è arrivato il momento di cambiare prospettiva sull’Africa, prima di scoprire che ormai si è fatta nuovi amici.
(Traduzione di Andrea Sparacino)
Questa rubrica è uscita su France Inter.
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