Per Theresa May è stata una fatica enorme. La sera del 14 novembre la premier britannica ha finalmente ottenuto il via libera del suo governo sull’accordo raggiunto con i 27. Si tratta di un sostegno che non è né unanime né entusiasta, ma che le permette di completare la prima tappa di quello che somiglia a un percorso di combattimento e che porterà al divorzio parziale tra il Regno Unito e l’Unione europea, in vigore dal prossimo 29 marzo.
La seconda tappa è cominciata burrascosamente il 15 novembre nel parlamento britannico, mentre il clima sembra quello di un paese sull’orlo di una crisi di nervi. È difficile capire cosa stanno vivendo i britannici, anche perché nel resto d’Europa l’argomento ha smesso da tempo di interessare e anche di preoccupare.
Nel Regno Unito, invece, il dibattito è costante, fratricida e appassionato, come una partita ripetuta per due anni in tv nella speranza che il risultato possa cambiare. Che sia conservatrice o laburista, ogni famiglia politica è divisa in due o addirittura in tre, tra pro e contro la Brexit, tra favorevoli all’accordo con i 27 e sostenitori di una Brexit dura che rappresenterebbe un salto nel vuoto.
L’ago della bilancia
Ci sono molti fattori che s’intrecciano e complicano i dibattiti britannici. Innanzitutto è necessario ricordare il voto: due dei quattro paesi del Regno Unito – Scozia e Irlanda del Nord – hanno votato a maggioranza per l’adesione all’Unione europea, così come la capitale, Londra. È stato soprattutto il resto della popolazione, di chi è rimasto ai margini della globalizzazione, che ha fatto pendere l’ago della bilancia verso la rottura con l’Europa. Questa frattura non è sparita, anzi.
In secondo luogo, la complessità del divorzio non era stata prevista, perché in fondo nessuno immaginava che il fronte della Brexit avrebbe vinto, nemmeno i suoi leader che oggi si trovano in una situazione in cui non esiste una buona soluzione.
Le divisioni politiche e le ambizioni personali hanno fatto il resto, trasformando la Brexit in un incubo senza fine.
La Brexit avrebbe dovuto restituire ai britannici il controllo sul loro destino, ma in realtà li ha indeboliti
Per aggirare gli ostacoli, la premier propone che per un periodo intermedio il Regno Unito resti all’interno dell’Unione doganale europea, in modo da evitare la separazione tra l’Irlanda del Nord e il resto del paese.
Ma questo compromesso significa che, nei fatti, il Regno Unito sarà tenuto a rispettare le regole europee e non potrà negoziare gli accordi di libero scambio con gli Stati Uniti o la Cina promessi dai sostenitori della Brexit.
Per i promotori dell’uscita dall’Unione si tratta evidentemente di un “tradimento” inaccettabile, e faranno di tutto per distruggere l’accordo. Cosa accadrebbe se il testo negoziato faticosamente con i 27 fosse bocciato alla camera dei comuni? Il 14 novembre un giornalista politico della Bbc ha evocato il rischio di una “implosione politica” a Londra. La Brexit avrebbe dovuto restituire ai britannici il controllo sul loro destino, ma nella realtà dei fatti li ha indeboliti, sia sul fronte interno sia fuori dai confini del regno.
(Traduzione di Andrea Sparacino)
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