Non pensereste mai che acquistando un telefono del produttore cinese Huawei vi trovereste in prima linea nella nuova guerra fredda sino-statunitense. Eppure è esattamente quello che sta accadendo a decine di milioni di consumatori di tutto il mondo, trascinati dal 19 maggio nel conflitto sempre più acceso tra le due superpotenze.
Huawei, numero uno al mondo nelle vendite di telefoni nel 2018, usa il sistema operativo Android, sviluppato dall’aziende statunitense Google. Il 19 maggio Google ha annunciato che, nel rispetto di un decreto firmato da Donald Trump, non fornirà più i suoi prodotti a Huawei.
Questo significa che i prossimi aggiornamenti del sistema potrebbero non essere più accessibili per i possessori di telefoni cinesi e che, se la situazione non cambierà, il vostro telefono potrebbe diventare rapidamente obsoleto. Altri fornitori non cinesi di componenti elettroniche hanno annunciato che non potranno più garantire la collaborazione con Huawei.
Una vittoria comunque ambigua
Si tratta evidentemente di un colpo durissimo per un’azienda simbolo della nuova potenza cinese, con un giro d’affari di circa cento miliardi di dollari e 270mila dipendenti in tutto il mondo.
Il presidente degli Stati Uniti vorrebbe spingere Xi Jinping ad accettare le sue condizioni per mettere fine alla guerra commerciale. Donald Trump pensava di aver raggiunto un accordo e accusa i cinesi di aver cambiato idea all’ultimo momento. Tutto questo fa salire la tensione in vista di un possibile incontro fra Trump e Xi alla fine di giugno, in Giappone.
In tutti i dibattiti interni alla Cina emersi dall’inizio della crisi la parola chiave è sempre la stessa: autosufficienza
Anche se Trump dovesse ottenere una vittoria, rischierebbe seriamente di essere ambigua. L’impatto dell’aggressione contro Huawei potrebbe essere profondo, perché segna una battuta d’arresto per un certo tipo di globalizzazione economica. Oggi la maggior parte dei nostri oggetti è costituita da componenti prodotti in diversi luoghi del pianeta, con catene logistiche complesse.
In tutti i dibattiti interni alla Cina emersi dall’inizio della crisi la parola chiave è sempre la stessa: autosufficienza. La Cina ha accelerato gli investimenti per non dipendere più dagli Stati Uniti e dai loro alleati per ottenere i prodotti di cui ha bisogno, a cominciare dai microprocessori su cui accusa ancora un certo ritardo. Pechino oggi spende più in microprocessori che in petrolio.
La Cina non ha i mezzi per ottenere questa autosufficienza nell’immediato, ma la direzione del Partito comunista cinese sembra pronta a pagare il prezzo delle difficoltà (passeggere) che il paese incontrerà.
Ritardo europeo
Simbolicamente, il 19 maggio Xi Jinping ha visitato il punto di partenza della Lunga marcia intrapresa nel 1934 da Mao Zedong, nel sud della Cina. Nella realtà dei fatti quest’epopea, ancora oggi al centro della mitologia comunista, è stata una gigantesca ritirata dell’armata rossa davanti al nemico. Mao perse il 90 per cento dei suoi uomini, ma questa manovra gli permise di sopravvivere e conquistare il potere. Il messaggio che Xi spera di inviare, basato sul nazionalismo cinese, è piuttosto evidente.
A breve termine, se la tendenza emersa il 19 maggio proseguirà, rischiamo di assistere a uno scisma tecnologico che ci costringerà a scegliere tra un mondo statunitense e un mondo cinese. Ci sarebbe piaciuto sentire l’opinione dei candidati alle elezioni europee su questo tema, in cui l’Europa, purtroppo, manifesta un notevole ritardo.
(Traduzione di Andrea Sparacino)
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