Tra quattro anni il regime comunista cinese potrà vantarsi di essere durato più di quello sovietico, il cui crollo nel 1991 rappresenta un incubo per i leader di Pechino. I vertici del Partito comunista cinese ora puntano al 2049, anno del centenario della proclamazione della Repubblica popolare da parte di Mao Zedong dall’alto della Porta della pace celeste. Entro quella data la Cina è convinta di poter diventare la prima potenza mondiale, un obiettivo che considera come un giusto ricorso storico dell’antico impero di mezzo.
Il settantesimo anniversario della Cina comunista, dunque, non dovrebbe essere che una tappa nella gloriosa ascesa. In effetti c’è molto da festeggiare, per un paese fino a ieri sprofondato nella miseria e che ha saputo strappare centinaia di milioni di persone alla povertà, costruire infrastrutture impressionanti e far atterrare un modulo sul lato nascosto della Luna…
Eppure, dietro la facciata imponente della sfilata militare in programma il 1 ottobre e il decorso immutabile degli anniversari in cui sventola la bandiera rossa, si nasconde una forte inquietudine.
Il mandato celeste di nuovo stampo, abbinato a un culto della personalità dal sapore maoista, garantisce a Xi un’immensa popolarità
La Cina vive un paradosso di cui è in parte responsabile. Sotto l’egida del nuovo “imperatore”, Xi Jinping, il regime cinese ha imposto un’autorità di ferro alla più numerosa popolazione mondiale, 1,4 miliardi di abitanti, e nonostante ogni velleità di opposizione sia stata cancellata, restano tanti i cinesi convinti che il loro tenore di vita sia migliorato e che il prestigio della Cina sia cresciuto. Il mandato celeste di nuovo stampo, abbinato a un culto della personalità dal sapore maoista, garantisce a Xi un’immensa popolarità.
Ma ai margini dell’impero la situazione si fa complessa, dallo Xinjiang, la provincia più occidentale della Cina dove oltre un milione di esponenti della minoranza musulmana degli uiguri vive in campi di rieducazione, fino al Tibet tutt’altro che pacificato.
Il problema più angosciante per Xi Jinping, però, è senz’altro Hong Kong, dove la rivolta violenta dei giovani suona come una sfida permanente nei confronti di Pechino. Il potere centrale ha perso il controllo, non tanto del territorio ma dello spirito degli abitanti di Hong Kong, che non vogliono diventare cinesi come gli altri.
Rivalità in crescita
In un sistema che controlla l’informazione a 360 gradi, la popolazione cinese accetta la versione ufficiale che parla di destabilizzazione di Hong Kong da parte dell’occidente. Ma all’interno del regime le rivalità tra i clan si stanno risvegliando dopo essere state seppellite dal rullo compressore Xi.
Il numero uno cinese, finora apparso infallibile, si ritrova a doversi giustificare per aver stuzzicato la potenza americana affermando troppo rapidamente le ambizioni cinesi, per non aver saputo comprendere in tempo l’incendio di Hong Kong e per aver complicato la riconquista di Taiwan.
Le tensioni sono inevitabili, vista la velocità con cui la nuova potenza cinese ha imposto il suo volere. Resta però il timore che il potere comunista sia più tentato dalla rigidità che dalla flessibilità, come è nella sua natura. Anche a settant’anni.
(Traduzione di Andrea Sparacino)
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