La Turchia del presidente Recep Tayyip Erdoğan si trova al centro di un’equazione esplosiva, tra il confronto armato nel nord della Siria, la sorte di milioni di profughi siriani e un gioco diplomatico complesso con i russi e gli europei. Cerchiamo di fare chiarezza.
Il 1 marzo il presidente turco ha risposto alla morte di 33 soldati turchi nel nordovest della Siria, uccisi alla fine della settimana scorsa. L’aviazione turca ha abbattuto tre jet dell’esercito siriano di Bashar al Assad. Alcuni droni turchi hanno distrutto postazioni e convogli delle truppe siriane.
L’aviazione e la difesa anti missile della Russia, presenti nella zona, si sono astenute dall’intervenire per difendere l’alleato siriano, mandando un segnale politico chiaro.
Relazione complessa
Erdoğan e Vladimir Putin si incontreranno il 5 marzo per parlare della crisi. Al momento tutto lascia pensare che il presidente russo abbia permesso alla Turchia di vendicare i soldati uccisi prima di sedersi al tavolo del negoziato. Quella tra Putin ed Erdoğan è una relazione complessa. La Turchia fa parte della Nato e la sua aviazione, appena cinque anni fa, ha abbattuto un bombardiere russo. Ma i due presidenti hanno saputo ugualmente coltivare un rapporto speciale, al punto tale che la Turchia ha acquistato un sistema missilistico russo S-400. Un gesto impensabile per un alleato degli Stati Uniti.
La vera tragedia è che le vittime del gioco tra potenze sono i civili
Se l’esercito turco dispone di postazioni nella regione di Idlib, in territorio siriano, è in virtù di un accordo stretto con Putin. L’accordo ha fatto pensare che Erdoğan coltivasse il sogno di un’alleanza con Mosca per dominare il Medio Oriente post-americano.
Ora però l’offensiva siriana a Idlib, appoggiata dall’aviazione russa, sembra minacciare questo ipotetico nuovo ordine regionale, con l’ambizione di Damasco di riconquistare integralmente il territorio nazionale, compresa Idlib con la sua zona d’influenza turca.
La vera tragedia, in tutto questo, è che le vittime del gioco tra potenze sono i civili. Abbiamo già parlato del destino di quasi un milione di sfollati nella provincia di Idlib, intrappolati in una regione in guerra. Come se non bastasse, da due giorni il presidente turco ha scatenato un’altra crisi umanitaria invitando i profughi che si trovano in Turchia a raggiungere l’Europa. Per Erdoğan, evidentemente, è un mezzo per fare pressione sull’Europa e spingerla a sostenere la sua azione.
È vero, la Turchia ha accolto sul suo territorio quasi quattro milioni di rifugiati, più di qualsiasi altro paese. Ma ha anche strumentalizzato a più riprese il dramma di questi disperati che sognano soltanto di trovare un rifugio per le loro famiglie.
Dopo l’ondata migratoria del 2015 l’Europa non ha mai saputo definire una politica comune, e si trova di nuovo in preda al panico e costretta a gestire una situazione che ha lasciato degenerare. A forza di non comportarsi come una potenza, l’Europa finisce regolarmente per subire le decisioni degli altri. Esattamente ciò che sta accadendo oggi con Erdoğan.
(Traduzione di Andrea Sparacino)
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