Tra le numerose sfide che attendono l’Unione europea, una delle più importanti è sicuramente quella che riguarda i rapporti con la Cina, la superpotenza emergente del ventunesimo secolo che rivaleggia apertamente con gli Stati Uniti. Il vertice del 14 settembre con Xi Jinping, che si terrà in videoconferenza, arriva in una fase di piena gestazione di una politica comune dei 27 rispetto a Pechino.

In passato i rapporti con la Cina sono stati soprattutto bilaterali: Francia-Cina, Germania-Cina, Italia-Cina eccetera. Pechino ha saputo trarre vantaggio da questa frammentarietà, giocando sulla concorrenza economica e permettendosi il lusso di creare una zona d’influenza all’interno dell’Unione grazie a investimenti mirati, principalmente a est e a sud.

Quest’epoca si è però conclusa l’anno scorso, con l’abbozzo di una strategia comune stabilita dalla Commissione di Bruxelles e con un vertice a sorpresa organizzato a Parigi durante una visita del presidente cinese, che ha coinvolto la Germania e la Commissione. Da allora è partita l’europeizzazione della politica cinese. Era inevitabile, perché “la questione Cina” è ormai diventata tanto centrale quanto problematica.

Una terza via
L’obiettivo di questa europeizzazione è quello di definire il ruolo dell’Europa nel mondo. Il vecchio continente vuole allinearsi automaticamente alla politica di Washington, come ai tempi della guerra fredda con l’Unione Sovietica? Oppure ha interessi specifici da difendere, tanto con gli Stati Uniti quanto con la Cina?

Questo è un interrogativo cruciale per l’Europa, e la risposta è piuttosto complessa. Gli europei non vogliono imitare i toni aggressivi dell’amministrazione Trump, ma davanti alla stretta cinese su Hong Kong, alle sofferenze della popolazione uigura e alle bugie iniziali sul covid-19 non si può più tacere. Esiste ancora la possibilità di una terza via?

L’Europa non parla ancora con una sola voce, anche perché il clientelismo cinese ha lasciato tracce

La titubanza del presidente francese Emmanuel Macron dimostra quanto sia difficile definire una posizione autonoma. La settimana scorsa Macron si è finalmente deciso a criticare con parole finora inedite la reclusione di oltre un milione di uiguri nella parte occidentale della Cina, e lo ha fatto con una lettera rivolta ad alcuni deputati che lo avevano chiamato in causa. Il presidente francese ha definito “inaccettabile” la repressione imposta da Pechino.

L’Europa non parla ancora con una sola voce, anche perché il clientelismo cinese ha lasciato tracce. Tuttavia il vertice del 14 settembre è stato preceduto, l’11 settembre, da un incontro tra Macron e la cancelliera tedesca Angela Merkel, che al momento ricopre la carica di presidente dell’Unione.

Francia e Germania, i due interlocutori principali di Pechino, sembrano aver trovato un’intesa per chiedere alla Cina una reciprocità nelle pratiche economiche, per ricominciare a parlare di diritti umani e mantenere aperto un dialogo sul clima e sul rapporto multilaterale, diversamente da quanto fa l’amministrazione Trump che continua a bruciare tutti i ponti.

La Cina è disposta a fare le concessioni indispensabili per mantenere aperto un canale con l’Europa? Oppure si chiuderà confermando la postura rigida voluta da Xi Jinping? Finora Pechino ha cercato di spingere l’Europa verso la neutralità nel conflitto con gli Stati Uniti senza cedere su nulla. Questa posizione, però, è diventata impossibile da mantenere.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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