Le porte, a Kabul, si stanno chiudendo con l’avvicinarsi della partenza degli ultimi statunitensi, prevista per il 31 agosto. Nelle condizioni caotiche che tutti conosciamo, un ponte aereo è stato organizzato fin dall’ingresso dei taliban nella capitale afgana, il 15 agosto. Ma sappiamo anche che decine di migliaia di afgani e afgane (un numero che in realtà è impossibile da stimare) cercano ancora di fuggire dal loro paese per sottrarsi al regime dei nuovi padroni. Oggi queste persone sono intrappolate in un drammatico vicolo cieco.
Come si possono creare le condizioni di una partenza per questi individui dopo il ritiro degli ultimi occidentali? Come si può ottenere dai taliban (perché di questo si tratta) che lascino partire gli afgani che hanno lavorato per gli eserciti occidentali o per il precedente governo, nonché le donne che si rifiutano di rispettare le regole retrograde che gli vengono imposte?
In assenza di un ricorso alla forza, che a questo punto sarebbe irrealistico, resta la diplomazia. Ma è una speranza debole, come ha detto a France Inter il portavoce dei taliban.
Il 29 agosto il presidente francese Emmanuel Macron ha annunciato un’iniziativa franco-britannica, che sarà presentata il 30 agosto davanti al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, per creare una “zona protetta” nella capitale. L’obiettivo è quello di permettere ai candidati alla partenza di rifugiarvisi prima di lasciare il paese.
La Cina ha deciso di giocare la carta di un rapporto pragmatico con i taliban
I taliban hanno già respinto questa proposta, considerata come una violazione della loro sovranità. Tuttavia Parigi e Londra andranno avanti, nella speranza di ottenere il sostegno dei due membri permanenti del Consiglio di sicurezza che hanno riconosciuto il governo del taliban, la Russia e la Cina.
Davvero Mosca e Pechino oseranno opporre il loro veto a una proposta umanitaria, rischiando di apparire complici del regime dei taliban? Nel contesto internazionale attuale è una possibilità concreta. La Cina, in particolare, ha deciso di giocare la carta di un rapporto pragmatico con i taliban.
L’alternativa, negoziata con i taliban in Qatar, è un semplice impegno da parte del regime a lasciare partire le persone che possiedono i documenti necessari. Novantotto paesi, tra cui la Francia e gli Stati Uniti, hanno dichiarato il 29 agosto che giudicheranno i taliban in base all’applicazione di questo impegno, che sarà difficile da far rispettare data l’assenza di rappresentanti sul campo. La promessa di liberi spostamenti poggia solo sulla buona fede dei nuovi padroni di Kabul, e oggi sono in pochi a farvi affidamento.
Per le persone che vogliono partire dall’Afghanistan, insomma, la situazione è preoccupante. Esiste solo una flebile speranza che i taliban siano disposti ad ammorbidire la loro posizione, vista la difficoltà che il regime sta incontrando a stabilizzare la situazione nella capitale due settimane dopo la vittoria.
Negli ultimi giorni ci sono state manifestazioni davanti alle banche di Kabul, perché il sistema economico è ancora fermo e le persone non possono effettuare prelievi di denaro. Poi c’è la sfida del ramo afgano del gruppo Stato islamico, che con l’attentato vicino all’aeroporto ha dimostrato di avere i mezzi per colpire nella capitale.
I taliban potrebbero usare la carta delle persone che vogliono espatriare per normalizzare i rapporti con il resto del mondo. Ma al momento non stanno inviando segnali in proposito, e si concentrano sul tentativo di imporre la propria autorità. Una missione che appare più complicata rispetto a quella di sconfiggere l’esercito americano.
(Traduzione di Andrea Sparacino)
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