Come impedire un tracollo economico e sociale dell’Afghanistan due mesi dopo la presa del potere dei taliban? La questione è sufficientemente urgente e importante da aver reso necessario, il 12 ottobre, un vertice delle prime venti potenze mondiali (G20) in videoconferenza.

Evidentemente non si tratta di una crisi classica che potrebbe essere affrontata con semplici contributi finanziari. L’Afghanistan è in mano a un regime che la maggior parte degli stati del mondo non vuole riconoscere (le ambasciate ancora aperte a Kabul sono appena undici), ma al contempo nessuno vuole abbandonare il paese al “caos”, per riprendere una parola usata il 12 ottobre da Angela Merkel. La situazione, insomma, è complessa.

In questo senso bisogna distinguere tra gli aiuti che possono arrivare direttamente alla popolazione attraverso le grandi agenzie delle Nazioni Unite, come il Programma alimentare mondiale o l’Unicef, e quelli che passerebbero attraverso le mani dei taliban, destinati al funzionamento del paese o allo sviluppo.

Impossibili aiuti bilaterali
Il G20 ha scelto il primo genere di aiuti in modo incondizionato, sempre che non ci siano intralci. L’Unione europea ha annunciato che stanzierà 1,5 miliardi di euro destinati all’Afghanistan e ai paesi vicini, senza dubbio anche per evitare un’ondata di rifugiati. Ma gli occidentali pongono le loro condizioni per l’aiuto bilaterale, impossibile a questo stadio.

Queste condizioni riguardano gli aspetti più problematici del regime dei taliban: la questione delle donne e i legami con il terrorismo internazionale.

Fino a qualche mese fa tre milioni di ragazze frequentavano la scuola. Oggi non possono più farlo

Come prevedibile, il mondo sta constatando che i taliban non hanno mantenuto gli impegni presi in merito ai diritti umani e soprattutto alla condizione delle donne. Fino a poco tempo fa tre milioni di ragazze frequentavano la scuola, e oggi sembra incredibile che siano private di questa opportunità. Le prime misure adottate dai nuovi padroni del paese puntano verso l’invisibilità delle afgane, anche se questo processo si svolge in modo meno brutale rispetto alla prima volta che gli studenti coranici arrivarono al potere, nel settembre 1996.

Per quanto riguarda il terrorismo, gli occidentali ricordano che diversi esponenti del governo taliban sono sulla lista delle sanzioni dell’Onu per i loro legami con Al Qaeda. La faccenda è complicata dal fatto che gli stessi taliban sono il bersaglio di una campagna terrorista condotta dal ramo afgano del gruppo Stato islamico. Ma questo non li esonera dall’impegno a non offrire rifugio alle organizzazioni terroristiche.

In ogni caso sono già avvenuti alcuni scambi con i taliban: statunitensi ed europei hanno infatti avuto quelli che hanno definito “contatti operativi” con il regime, in Qatar, paese che funge da intermediario. Gli occidentali ribadiscono che non si tratta di un riconoscimento ufficiale né di un avvio della normalizzazione.

Il 12 ottobre, a Parigi, il governo francese ha sottolineato che questo riconoscimento internazionale a cui aspirano i taliban e lo sblocco di fondi attualmente congelati restano le uniche carte a disposizione del mondo esterno per influenzare il regime di Kabul, dunque non saranno utilizzate alla leggera.

In ogni caso è chiaro che è il momento di gestire futuri fallimenti, non di porre le proprie condizioni in un rapporto di forze favorevole. I taliban si mostrano intransigenti malgrado la situazione catastrofica e rifiutano qualsiasi vincolo. Questi integralisti sono arrivati al potere per imporre il loro programma, e niente glielo impedirà, nemmeno il crollo dell’economia.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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