Gli statunitensi hanno un’espressione precisa per definire questo genere di informazioni: sono i “momenti Sputnik”, un riferimento al lancio del primo oggetto in orbita nello spazio, nel 1957, ovvero il satellite sovietico Sputnik. Quell’episodio fece prendere coscienza agli Stati Uniti del loro ritardo rispetto al rivale della guerra fredda. Da quel trauma nacquero la Nasa, famosa agenzia spaziale statunitense, e la Darpa, l’agenzia federale incaricata di gestire l’innovazione.

L’informazione pubblicata il 17 ottobre dal Financial Times ha la stessa portata: ad agosto la Cina avrebbe testato un missile ipersonico, lanciato nello spazio da un razzo classico, ma capace di fare il giro del mondo per diverse volte alla velocità del suono, con una traiettoria cangiante. Questo missile sarebbe in grado di trasportare una testata nucleare.

Secondo il quotidiano britannico il test di agosto avrebbe mancato l’obiettivo di 32 chilometri, ma non è questo il punto. Ciò che conta è la padronanza della tecnologia. Due anni fa la Cina aveva effettuato un primo tentativo, durato appena pochi minuti. Da allora Pechino ha compiuto diversi passi avanti. L’ultimo missile, infatti, ha completato per intero il suo percorso, sorprendendo i servizi statunitensi.

Settore delicato
Washington ha sviluppato apparecchiature antimissile molto efficaci che costituiscono uno “scudo” contro i missili balistici attualmente usati dagli eserciti che potrebbero voler colpire il suolo americano: Russia, Cina o anche, teoricamente, Iran e Corea del Nord.

I missili ipersonici, grazie alla loro velocità e alla capacità di cambiare traiettoria durante la rotta, rischiano di rendere obsolete le dotazioni antimissile statunitensi. È in questo senso che siamo davanti a un “momento Sputnik”, perché la Cina sembra in condizione di superare gli Stati Uniti in un settore militare estremamente delicato.

Come nel 1957, la prima conseguenza rischia di essere una corsa agli armamenti

Il test di agosto non è stato annunciato da Pechino, ma l’informazione è comunque trapelata. Esiste un aspetto legato alla guerra psicologica rispetto a informazioni che sono inevitabilmente strumentalizzate nel dibattito interno negli Stati Uniti.

Come accaduto nel 1957, la prima conseguenza rischia di essere una corsa agli armamenti, perché gli Stati Uniti non tollerano di essere in ritardo. Miliardi di dollari saranno dedicati a questi missili, ancora una volta a scapito delle altre priorità dell’umanità, dal clima all’istruzione.

Ma soprattutto la vicenda spinge Stati Uniti e Cina verso una nuova tappa del loro rapporto. Per gli Stati Uniti è evidentemente troppo tardi per impedire l’ascesa della Cina come superpotenza. Grazie alle sue dimensioni, alla sua storia e alle sue ambizioni, la Cina è già il rivale strategico degli Stati Uniti.

Il possesso di armi estremamente efficienti non rende per forza inevitabile un conflitto armato. Al contrario, potrebbe creare una forma di dissuasione, come accaduto all’epoca della guerra fredda con l’Urss. A partire dal momento in cui ciascuna potenza può annientare l’altra emerge un’inclinazione alla prudenza. Ma ancora bisogna definire le regole del gioco, e tra Pechino e Washington questo traguardo è lontano.

Nel 2019 Hu Xijin, caporedattore del quotidiano del Partito comunista cinese Global Times, aveva pubblicato una foto dei missili intercontinentali con questo commento: “Non c’è motivo di averne paura. Basta rispettarli e rispettare la Cina, che li possiede”. Lo stesso avvertimento potrebbe essere ripetuto per questa arma ipersonica. È precisamente il concetto della dissuasione reciproca.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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