Il 25 e 26 aprile alcune esplosioni hanno scosso la Transnistria, territorio alla frontiera con l’Ucraina giuridicamente parte della Moldova ma secessionista da oltre trent’anni. Le esplosioni, non rivendicate e senza vittime, sono il primo segnale di un aumento della tensione attorno alla Moldova, il paese più fragile della regione.

In questo caso siamo davanti alla complessità degli intrecci tra i popoli e del caos scoppiato con la dissoluzione dell’Unione Sovietica. Il fragile equilibrio a cui si appoggiava questo paese, afflitto da diversi problemi irrisolti, è stato stravolto dall’invasione russa dell’Ucraina. A tal proposito è utile un ripasso storico.

Chiamata in passato Bessarabia, la Moldova, a maggioranza romenofona, è stata conquistata da Stalin nel 1940 e, alla fine della seconda guerra mondiale, incorporata suo malgrado all’Unione Sovietica. L’indipendenza ottenuta nel 1991 è stata particolarmente agitata, perché la striscia più orientale del paese, a maggioranza russofona, si è staccata da Chișinău nel 1992 dopo una guerra breve ma sanguinosa, che ha provocato un migliaio di morti. Così è nata la Repubblica moldava di Transnistria, uno stato indipendente di fatto ma non riconosciuto a livello internazionale. Situata tra il fiume Dnestr e la frontiera con l’Ucraina, e popolata da 400mila persone, la Transnistria ospita un migliaio di soldati russi ed è al centro di uno dei conflitti “congelati” dello spazio ex sovietico.

L’inquietudine è aumentata ulteriormente la settimana scorsa con le dichiarazioni di un generale russo secondo cui la guerra in Ucraina mira alla continuità territoriale tra il Donbass e la Transnistria. Il generale ha sostenuto che esistano “atti di oppressione” nei confronti dei russofoni in Moldova. Il governo moldavo ha convocato l’ambasciatore russo a Chişinău in segno di protesta.

Le esplosioni degli ultimi due giorni alimentano le preoccupazioni. L’Ucraina ha accusato la Russia di cercare un pretesto per estendere il conflitto, mentre Mosca ha tentato di incolpare Kiev. Nel frattempo una parte della popolazione della Transnistria si è rifugiata in territorio moldavo unendosi ai circa centomila profughi ucraini.

Tutto questo si svolge in un contesto geopolitico particolare. Nel 2020 la Moldova ha eletto una presidente filoeuropea, Maia Sandu, scontentando i sostenitori di Mosca. Da allora il governo si è candidato all’ingresso nell’Unione europea, come le vicine Ucraina e Georgia.

L’Unione europea può proteggere la Moldova? Bruxelles garantisce già un aiuto consistente al governo moldavo per l’approvvigionamento energetico, l’accoglienza dei rifugiati ucraini e le attività diplomatiche. Ma in caso di estensione del conflitto questo sostegno non sarebbe sufficiente.

I 27 stanno valutando una soluzione intermedia che eviterebbe un’attesa di diversi anni per i paesi fragili d’Europa: Ucraina, Georgia e Moldova, ma anche gli stati dei Balcani occidentali (Serbia, Kosovo, Albania, Montenegro, Bosnia Erzegovina, Macedonia). Come avvicinare questi paesi all’Europa senza integrarli in una Unione che a quel punto non potrebbe più funzionare?

L’ex presidente del consiglio italiano Enrico Letta ha riesumato un vecchio concetto proposto dall’ex presidente francese François Mitterrand all’indomani della caduta del muro: una confederazione europea che riunisca l’Unione e i paesi della periferia. All’epoca l’idea era stata accantonata a beneficio dell’allargamento a est. Oggi, invece, sono al vaglio altri spunti di riflessione simili. D’altronde si tratta di un processo vitale per la stabilità del continente.

Nell’attesa, la Moldova vive sul filo del rasoio. L’unico aspetto che rassicura i moldavi è che l’esercito russo ha fin troppi problemi nella guerra in Ucraina per allargare il conflitto ai paesi vicini.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

Leggi anche:

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it