La guerra in Ucraina ha provocato un brusco aumento della temperatura in un’altra area dell’Europa, i Balcani occidentali. Il 6 giugno Sergej Lavrov, capo della diplomazia russa, era in viaggio verso la Serbia quando il suo aereo ha dovuto invertire la rotta e tornare a Mosca. Tre stati, infatti, avevano negato il permesso di sorvolo: Bulgaria, Macedonia del Nord e Montenegro.

Cos’hanno in comune questi tre stati? Fanno parte della Nato e uno di essi, la Bulgaria, fa parte anche dell’Unione europea. Lavrov, come prevedibile, è andato su tutte le furie e ha definito il rifiuto di sorvolo “scandaloso”, sottolineando che “è accaduto l’inverosimile”.

Anche la Serbia ha reagito duramente, affermando che i paesi che hanno bloccato l’aereo di Lavrov “sognano di sconfiggere la Russia”. “La Serbia è fiera di non essere coinvolta nell’isteria antirussa, e i paesi che la portano avanti avranno tempo di vergognarsene”, ha dichiarato un ministro serbo.

Le piaghe dell’ex Jugoslavia
L’incidente diplomatico non resterà senza conseguenze, ma riaprirà vecchie piaghe e linee di frattura mai cancellate dopo le guerre legate al crollo dell’ex Jugoslavia, negli anni novanta.

La Serbia conserva il ricordo amaro dei bombardamenti della Nato (anche sulla capitale Belgrado) durante la guerra che ha portato all’indipendenza del Kosovo, nel 1999. Le affinità culturali e religiose con la Russia l’hanno portata anche a rifiutarsi di condannare l’invasione dell’Ucraina e di partecipare alle sanzioni occidentali contro la Russia. Secondo i sondaggi la maggioranza dei serbi sostiene la Russia nel conflitto in Ucraina.

L’anello debole della regione potrebbe essere la Bosnia ed Erzegovina

Ma al contempo la Serbia è candidata all’adesione all’Unione europea, e il suo presidente Aleksandar Vučić mantiene una neutralità ambigua per non compromettere nulla. Questa neutralità relativa sarà però messa a dura prova nelle prossime settimane.

L’ombra russa aleggia sulla regione dei Balcani, uno dei bersagli privilegiati della battaglia dell’informazione condotta dalla Russia ormai da anni. La diplomazia di Mosca cerca di contrastare i legami con la Nato e l’Unione europea e di mantenere questi paesi in una terra di nessuno geopolitica che è più favorevole agli interessi russi.

Come sottolineava l’analista Sylvain Zeghni il mese scorso in un intervento su Le Monde, “attizzando i conflitti territoriali, sostenendo le politiche secessioniste e minando le istituzioni democratiche il Cremlino potrebbe far precipitare la regione nel caos senza inviare un solo carro armato”.

L’anello debole della regione potrebbe essere la Bosnia ed Erzegovina, teatro di una delle peggiori guerre degli anni novanta e attualmente esposta al forte rischio di una nuova secessione dei serbi di Bosnia. Gli europei cercano di impedire questa deriva, perché rischierebbe di risvegliare i vecchi conflitti. La Russia, però, può far leva sul nazionalismo slavo e ortodosso.

È in questo contesto instabile che il presidente francese Emmanuel Macron ha avanzato il mese scorso la sua proposta di una “comunità politica europea” per offrire una struttura di accoglienza ai paesi balcanici, ma anche all’Ucraina e ai paesi vicini, nell’attesa di aprire le porte dell’Unione europea in un futuro più lontano.

La proposta è stata accolta con freddezza, ma questa idea o altre iniziative saranno indispensabili per stabilizzare una regione trascurata troppo a lungo. La visita abortita di Lavrov non fa che ricordarne l’urgenza.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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