La sera del 3 luglio decine di migliaia di georgiani sono scesi nelle strade della capitale Tbilisi. È la seconda volta in due settimane, e si annunciano nuovi appuntamenti. Il motivo di questa mobilitazione è che gli abitanti del paese affacciato sul mar Nero non vogliono perdere il treno della storia, dopo che l’Unione europea ha rifiutato alla Georgia lo status di “candidato” in occasione dell’ultimo vertice di Bruxelles, concernendolo invece a Ucraina e Moldova.

La collera dei georgiani non è diretta tanto contro i 27, quanto verso i loro leader politici, anche perché la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen è stata chiara: “La porta è aperta. Ora tocca alla Georgia prendere i provvedimenti necessari per andare avanti”.

I manifestanti di Tbilisi chiedono l’uscita di scena del primo ministro Irakli Garibashvili, miliardario accusato di aver intaccato lo stato di diritto e di essere troppo vicino a Mosca. La popolazione vorrebbe che Garibashvili fosse sostituito da un governo di unità nazionale incaricato di posizionare la Georgia in una traiettoria europea. Per farlo servono una maggiore indipendenza della giustizia, il rispetto della libertà di stampa e una lotta più risoluta contro la corruzione. In un paese con meno di quattro milioni di abitanti, i numeri delle manifestazioni sono sorprendenti. Inoltre un recente sondaggio indica che l’80 per cento dei georgiani vorrebbe che un giorno il paese entrasse nell’Unione europea, segnando una forte crescita di questa posizione dopo l’invasione dell’Ucraina.

Un passato che si fa sentire
La guerra in Ucraina ha risvegliato ricordi non troppo lontani per i georgiani. Nel 2008 la Georgia ha infatti vissuto una guerra molto più breve con la Russia, ma di cui porta ancora il segno: circa il 20 per cento del territorio georgiano è attualmente in mano ai separatisti filorussi, in Ossezia del Sud e in Abkhazia. Nei due territori sono dislocate truppe russe.

Nel braccio di ferro geopolitico in corso ai confini orientali dell’Unione da oltre quattro mesi, la Georgia non vuole essere dimenticata. Alla fine di febbraio la presidente Salomé Zourabichvili si trovava a Parigi per sostenere la causa del suo paese, mentre il mese scorso ha partecipato alle manifestazioni di Tbilisi mostrando una bandiera georgiana e una europea.

Ma questa ex diplomatica francese diventata presidente del suo paese d’origine non appartiene allo stesso partito del primo ministro ed è stata addirittura richiamata all’ordine dal partito di maggioranza, Sogno georgiano, per la sua visita a Parigi. I poteri di Zourabichvili sono piuttosto limitati.

Alcuni georgiani avanzano un paragone con le proteste di piazza Maidan, la rivolta esplosa a Kiev durante l’inverno del 2013-2014 dopo la decisione del presidente ucraino Viktor Janukovyč di non firmare l’accordo di associazione con l’Unione europea. Il seguito è noto: Janukovyč è stato deposto, la Russia ha invaso la Crimea e la guerra del Donbass è cominciata.

La Georgia ha una storia di ribellioni popolari. Nel 2003 la “rivoluzione delle rose” aveva portato all’avvio della rottura con il mondo post-sovietico, ma secondo uno degli autori del libro Éclats d’empire, Asie Centrale, Caucase, Afghanistan, quell’iniziativa non ha prodotto grandi cambiamenti democratici.

Il cantiere, insomma, è rimasto fermo. Questo impedisce alla Georgia, antica nazione caucasica al crocicchio tra diversi mondi, di vivere il suo “sogno europeo”. Le prossime settimane ci diranno se i georgiani saranno capaci di invertire il corso della storia.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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