In settimana è arrivata una notizia che è passata relativamente inosservata: l’Algeria ha richiamato il suo ambasciatore a Parigi, un gesto che di solito si compie per manifestare una profonda irritazione. Non si tratta necessariamente di un fatto grave, ma la vicenda evidenzia la difficoltà di stabilizzare i rapporti franco-algerini, malgrado i grandi sforzi. Questa difficoltà si ripresenta in tutti e tre i paesi del Maghreb, per motivi diversi.
La causa delle tensioni con l’Algeria è il destino di una donna, Amira Bouraoui, esponente del movimento democratico algerino hirak. Bouraoui, ginecologa, è fuggita illegalmente in Tunisia nel timore di un nuovo arresto.
In possesso della doppia nazionalità algerina e francese, Bouraoui è stata successivamente arrestata quando ha cercato di lasciare la Tunisia con il suo passaporto francese. La donna è stata minacciata di essere rimpatriata in Algeria, dove sarebbe sicuramente incarcerata. Una trattativa con l’ambasciata francese le ha permesso di imbarcarsi su un aereo diretto in Francia, dove è ormai al sicuro.
Frenata improvvisa
La prima conseguenza di questa vicenda è stata il licenziamento del ministro degli esteri tunisino da parte del presidente Kais Saied, che lo accusa di aver mantenuto un atteggiamento troppo accomodante con la Francia. In questo modo Saied ha voluto schierarsi dalla parte dell’Algeria a scapito della Francia, che al momento non rappresenta una sua priorità.
La seconda conseguenza è stata appunto il richiamo dell’ambasciatore algerino in Francia, che costituisce una frenata improvvisa dopo mesi in cui i due paesi avevano portato avanti un percorso di riavvicinamento, tanto che a gennaio il capo dello stato maggiore algerino si trovava in Francia.
A Tunisi, Algeri e Rabat, la Francia cammina costantemente sulle uova
Il governo algerino è talmente imprevedibile che allo stato attuale è impossibile stabilire se si tratti di una vera crisi o di una semplice protesta simbolica per un incidente che di fatto è di relativa importanza. I mezzi d’informazione ufficiali, in ogni caso, gettano benzina sul fuoco. L’8 febbraio il quotidiano El Moudjahid scriveva che “la Francia, oggetto di grande collera in Africa a causa della sua arroganza neocoloniale, non cambierà mai”.
A questo punto è naturale chiedersi se questa increspatura rimetterà in discussione la visita ufficiale in Francia del presidente algerino Abdelmadjid Tebboune. In programma a maggio, l’evento avrebbe segnato un momento importante nel processo di “riconciliazione”. Tebboune ha stabilito un buon rapporto con Emmanuel Macron, ma non è l’unico a prendere le decisioni ad Algeri.
I rapporti con il Marocco non sono certo più semplici, prima di tutto perché a causa della rivalità tra Algeria e Marocco qualsiasi apertura verso uno dei due paesi è percepita come un affronto dall’altro. Inoltre la vicenda del Sahara Occidentale continua a pesare sulla politica estera marocchina, come ha sperimentato la Spagna a proprie spese. Infine il Marocco ha diversificato le sue alleanze (per esempio avvicinandosi a Israele) e tende meno verso Parigi, al punto che recentemente Le Monde ha parlato di “disamore” e di “vento glaciale”.
La settimana scorsa una frase pronunciata dal nuovo ambasciatore francese a Rabat ha creato scompiglio. Dopo un voto con cui il parlamento europeo ha condannato l’arresto di alcuni giornalisti in Marocco, l’ambasciatore ha dichiarato che “la decisione non impegna in alcun modo la Francia”, inviando un pessimo segnale alla società civile marocchina.
A Tunisi, Algeri e Rabat, la Francia cammina costantemente sulle uova. Ogni gesto e ogni dichiarazione sono interpretati e filtrati attraverso la storia e i retropensieri. Macron vorrebbe essere l’uomo che riesce a calmare gli animi, ma le previsioni del Mediterraneo annunciano sempre tempesta.
(Traduzione di Andrea Sparacino)
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