C’è l’accordo, e poi ci sono le circostanze dell’accordo. L’Arabia Saudita e l’Iran avevano rotto i rapporti diplomatici nel 2016, dopo l’esecuzione a Riyadh di un imam sciita, leader dell’opposizione saudita. Dunque il ripristino delle relazioni tra le due potenze rivali del golfo non è una notizia da poco.
Ma c’è un aspetto più intrigante, spettacolare e inatteso: il ruolo della Cina. È a Pechino, infatti, che il 10 marzo è stato firmato l’accordo. La fotografia del capo della diplomazia cinese, il consigliere di stato Wang Yi, insieme ai due ministri di Arabia Saudita e Iran davanti a un grande quadro cinese, è il simbolo di un mondo che è cambiato.
È la prima volta che la Cina ricopre il ruolo di mediatore in Medio Oriente, un comportamento che fa scalpore nella regione (e non solo). Tra i più sorpresi ci sono sicuramente gli Stati Uniti, che in passato ricoprivano in esclusiva il ruolo di protettore di Riyadh, e Israele, che passo dopo passo stava costruendo un rapporto con l’Arabia Saudita in ottica antiraniana per contrastare l’ambizione nucleare di Teheran.
Immagine migliorata
Per Pechino, in piena guerra fredda con Washington, si tratta di un grande successo diplomatico: la Cina afferma il proprio status di superpotenza in un’area in cui non era previsto, presentandosi come paese responsabile e pacifico. Questa mossa, evidentemente, migliora l’immagine di Pechino nel mondo non occidentale.
Al momento ignoriamo quale sia stato concretamente il contributo della Cina al negoziato oltre ad aver offerto la struttura dell’ultima tappa, quella della firma. In ogni caso è interessante riflettere sul perché sia l’Iran sia l’Arabia Saudita abbiano accettato questa “sponsorizzazione” cinese. Ognuno dei due paesi ha le sue regioni.
Il leader cinese è stato il primo a stringere la mano del principe ereditario Mohamed bin Salman dopo l’omicidio di Jamal Khashoggi
L’Iran, soffocato dalle sanzioni statunitensi, esce dal suo isolamento e costruisce un legame più stretto con la Russia e la Cina. Il riavvicinamento con Mosca si è manifestato attraverso la consegna di droni utilizzati contro l’Ucraina, ma non abbiamo sottolineato abbastanza la visita del presidente iraniano Ebrahim Raisi a Pechino del mese scorso, preludio dell’accordo.
L’Arabia Saudita, invece, conduce un gioco più sottile dopo lo scoppio della guerra in Ucraina. Riyadh si è emancipata dalla tutela statunitense respingendo la richiesta di Joe Biden di aumentare le quote di produzione di petrolio, prima di stendere un tappeto rosso davanti al numero uno cinese Xi Jinping.
Il leader cinese è stato il primo a stringere la mano del principe ereditario Mohamed bin Salman quando gli occidentali avevano deciso di boicottarlo a causa dell’omicidio del giornalista Jamal Khashoggi. Ma bisogna considerare anche che si è verificata una redistribuzione delle carte, come dimostra la posizione di tutte le potenze medie del pianeta.
Quali sono i risultati di questo accordo? Prima di tutto una riduzione della tensione tra i due paesi in questione, che in passato sono stati spesso sull’orlo di una guerra. Il primo effetto di questa distensione dovrebbe essere il rilancio delle speranze di pace in Yemen, dove l’Arabia Saudita e l’Iran conducono una guerra indiretta.
Inoltre l’Iran dovrebbe rinunciare a minacciare il suo vicino, come quando ha bombardato le strutture petrolifere nel 2019 (un momento che si è rivelato decisivo anche per la mancata risposta di Donald Trump).
E il programma nucleare iraniano, che si avvicina pericolosamente alla soglia critica dell’arricchimento dell’uranio? E gli altri fronti dell’attivismo iraniano nella regione, dalla Siria al Libano e all’Iraq?
A ben vedere l’accordo produce più interrogativi che risposte, ma resta il fatto che ha raggiunto un primo obiettivo: sorprendere la comunità internazionale e far capire agli occidentali che il mondo non è più lo stesso di prima.
(Traduzione di Andrea Sparacino)
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