Se prima dell’invasione dell’Ucraina non era facile essere un oppositore di Vladimir Putin, dopo il 24 febbraio 2022 è diventato del tutto impossibile. Anche dalla prigione, come dimostra il caso di Aleksej Navalnyj.

Dopo il suo ritorno volontario in Russia in seguito all’avvelenamento con il Novichok nel 2020, Navalnyj ha già avuto due condanne, per un totale di dodici anni di prigione. Ora la farsa si ripropone, e l’oppositore rischia altri trent’anni di carcere. Di sicuro resterà dietro le sbarre fino a quando Putin occuperà il Cremlino.

Quella in atto è una parodia della giustizia, perché il processo, che ha preso il via il 19 giugno nella prigione dove è rinchiuso Navalnyj (la colonia penitenziaria IK-6 di Melekhovo, a 200 chilometri da Mosca), si svolge a porte chiuse. Un’assenza di trasparenza che non può essere certo giustificata dall’accusa di “estremismo” che pende sull’oppositore.

Margine di manovra ridotto
Ma in realtà i contorni del caso sono irrilevanti. Quello che conta è mantenere Navalnyj in prigione più a lungo possibile, in condizioni che preoccupano i suoi cari. Navalnyj è dimagrito parecchio e prova forti dolori allo stomaco, ma non ha perso la sua determinazione e la sua ironia.

Già prima del scoppio della guerra, il margine di manovra dell’opposizione russa si era considerevolmente ridotto. Con l’invasione dell’Ucraina, misure come le restrizioni nei confronti delle organizzazioni non governative, la repressione contro qualsiasi velleità di manifestare e il controllo dei mezzi d’informazione sono diventate draconiane.

Molti dubitano che gli oppositori russi, anche i più determinati, siano in grado di cambiare la mentalità imperiale che domina nel paese

Dal carcere, Navalnyj non è rimasto in silenzio. Rivolgendosi ai suoi sostenitori, che in molti casi si trovano in esilio, l’oppositore li ha invitati a creare quella che ha definito una “macchina della verità” per cambiare la percezione della guerra tra l’opinione pubblica russa. Navalnyj, con immutato senso dell’umorismo, ha affermato di aver testato il metodo sulle sue guardie, che avrebbero cominciato a dubitare della versione ufficiale dei fatti.

A prescindere dalla sincerità di Navalny, a cui non tutti credono, l’appello rischia di non avere l’impatto sperato. Il prezzo da pagare in Russia è infatti elevatissimo, e pochi hanno il coraggio del detenuto di Melekhovo o di Vladimir Kara-Murza, un altro oppositore condannato ad aprile a 25 anni di lavori forzati.

L’ultimo rifugio dell’opposizione è l’esilio, ma il movimento che contrasta Putin è diviso e non riesce a creare un fronte unito per resistere a un regime determinato e ormai del tutto totalitario.

Su iniziativa di alcuni parlamentari europei, all’inizio di giugno circa 300 rappresentanti dell’opposizione russa in esilio si sono riuniti a Bruxelles e in quell’occasione le fratture sono apparse evidenti. Gli amici di Navalnyj, per esempio, si sono rifiutati di partecipare all’evento.

Altre figure dell’opposizione erano invece presenti, a cominciare da Mikhail Khodorkovskij, ex oligarca attualmente in esilio dopo diversi anni di prigionia.
Le divisioni erano prevedibili, considerando le circostanze particolarmente difficili. Tanto che gli ucraini dubitano del fatto che gli oppositori russi, anche i più determinati, siano in grado di cambiare la mentalità imperiale che domina nel paese.

Resta il fatto che un giorno ci sarà per forza un “dopo Putin”, anche se oggi nessuno può dire quando. La guerra in Ucraina accentua comunque l’imprevedibilità della situazione al vertice della Russia. Il ruolo dell’opposizione è di prepararsi ai nuovi sviluppi, anche dalla prigione.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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