Più di tre mesi dopo il massacro del 7 ottobre compiuto da Hamas in Israele, seguito dalla guerra nella Striscia di Gaza, a parlare sono ancora solo le armi. Ma per la prima volta la bozza di un piano di pace circola negli ambienti diplomatici. Siamo ancora a un approccio informale e lontani dall’avvio di una trattativa, ma questi primi passi dimostrano che è in corso una riflessione a porte chiuse in vista del dopo, quando le armi finalmente taceranno, in un modo o nell’altro. Probabilmente serviranno ancora diverse settimane, ma alla fine arriverà il momento di rimettere insieme i pezzi, anche se ora sembra impossibile.
L’aspetto più interessante è che le proposte abbozzate ruotano attorno all’Arabia Saudita. Alla vigilia del 7 ottobre, il potente regno del golfo era sul punto di riconoscere lo stato di Israele, un processo che è stato ovviamente congelato dopo l’attacco di Hamas e la guerra israeliana. Da allora l’Arabia Saudita ha mantenuto una posizione discreta, rifiutandosi di favorire un’escalation con l’Iran, fino a poco tempo fa considerato un nemico mortale. Riyadh avrà una parte fondamentale nell’uscita dalla crisi.
Gli obiettivi del piano sono semplici: il riconoscimento di Israele da parte del mondo arabo – compresa l’Arabia Saudita, custode dei luoghi sacri dell’islam – in cambio di un impegno irreversibile di Israele a permettere la nascita di uno stato palestinese. Le ricche monarchie del golfo avranno tutte un ruolo importante nella ricostruzione di Gaza e nel sostegno a un’Autorità palestinese riportata in sella. Tutto comincerebbe da un cessate il fuoco e dalla liberazione degli ostaggi ancora nelle mani di Hamas.
Queste idee hanno l’appoggio degli Stati Uniti, impegnati nella preparazione del dopo anche solo per far dimenticare a parte dell’opinione pubblica americana e mondiale il sostegno accordato a Israele nel corso della guerra.
A Parigi confermano la fattibilità di questa strategia e incoraggiano l’Arabia Saudita a mantenere la rotta, pretendendo la nascita di uno stato palestinese in cambio del riconoscimento di Israele da parte di Riyadh. È l’unico modo per uscire da questa crisi devastante.
Gli ostacoli non mancano, a cominciare dall’ostilità feroce del primo ministro Benjamin Netanyahu rispetto a qualsiasi progetto di uno stato palestinese, una posizione che accomuna una grande maggioranza degli israeliani. Un secondo problema riguarda l’atteggiamento di Hamas, finora ostile al riconoscimento di Israele e ormai forte dell’appoggio di buona parte dei palestinesi.
Ma le cose possono sempre cambiare. Basterebbe che questo piano fosse formalizzato con un sostegno internazionale adeguato per renderlo credibile e cominciare a lavorare a una soluzione.
La crudele ironia di queste idee è che sembrano largamente ispirate al piano presentato nel 1981 dal re saudita Fahd, prozio dell’attuale uomo forte del paese, il principe Mohammed bin Salman. Il piano Fahd è rimasto lettera morta, perché per Israele il prezzo da pagare era troppo alto.
Oggi l’ambizioso principe ereditario vuole far dimenticare i suoi inizi violenti, cercando di modernizzare il regno e attirare i turisti. Affermarsi come architetto della pace in Medio Oriente significherebbe favorire questa trasformazione radicale. Ma siamo ancora lontani da questo scenario.
(Traduzione di Andrea Sparacino)
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