Ancora una volta il primo ministro ungherese Viktor Orbán è il motivo per cui i consigli europei non si chiudono per tempo. In passato questo ruolo era ricoperto da Margaret Thatcher, che teneva in ostaggio i colleghi per tutta la notte fino a quando non otteneva qualcosa.

A dicembre, a causa dell’ostruzionismo dell’Ungheria, i 27 non sono riusciti a mettersi d’accordo su un nuovo pacchetto di aiuti da cinquanta miliardi di euro in quattro anni per l’Ucraina. In precedenza, quando si è trattato della decisione di aprire il negoziato per l’adesione dell’Ucraina all’Unione europea, Orbán era uscito dalla sala, ma sui soldi si è impuntato.

A quel punto si è deciso di fissare un nuovo appuntamento per il 1 febbraio, nella speranza che alcune settimane di pausa potessero favorire un compromesso. Ora i 27 si presentano a Bruxelles con un piano su cui non c’è ancora un accordo. Saranno dunque i capi di stato e di governo a trattare su ogni parola e su ogni concessione nel tentativo di ottenere un’intesa comune invece di dovere immaginare di andare avanti senza l’Ungheria.

In questo momento è chiaro che esiste un paradosso Orbán. Il primo ministro ungherese ha mosso i suoi primi passi sulla scena politica durante la crisi del comunismo, giovane liberale sostenuto da una borsa di studio concessa dal miliardario George Soros e abbagliato da un viaggio negli Stati Uniti.

Ma quel liberalismo giovanile non è sopravvissuto ai primi fallimenti politici. Orbán è presto diventato un ultraconservatore dai toni populisti che guarda a Bruxelles nello stesso modo in cui i paesi dell’est guardavano a Mosca: come una vigilanza imposta a cui bisogna opporsi.

A Orbán bisogna riconoscere un certo fiuto politico, evidenziato dal fatto che il leader di Fidesz è riuscito a farsi rieleggere sconfiggendo oppositori realmente liberali. Certo, il controllo dei mezzi d’informazione e un buon uso dei fondi europei hanno favorito le sue ambizioni politiche.

È ostile ai migranti, a Bruxelles e all’integrazione europea, ma non disdegna i finanziamenti comunitari, che hanno un effetto rilevante sull’economia e sulla corruzione dilagante in Ungheria.

A proposito della vicenda ucraina, Orbán va per conto suo: incontra Putin, compra il gas russo a buon mercato e critica il sostegno militare a Kiev. Tuttavia, è la prima volta che il governo ungherese ricorre all’ostruzionismo, rischiando di compromettere gli aiuti di cui l’Ucraina ha un bisogno vitale.

Con Orbán l’Unione europea finora ha usato le buone maniere, ma le cose potrebbero cambiare. Un documento interno della Commissione pubblicato dal Financial Times prevede ritorsioni finanziarie nel caso che il blocco ungherese continui. “Non cediamo ai ricatti”, hanno risposto da Budapest.

Le sue minacce sembrano una tattica negoziale e probabilmente il 1 febbraio ci sarà molto da trattare, ma è possibile che i 26 paesi dell’Unione siano costretti ad adottare delle contromisure per aggirare il blocco imposto da un uomo solo. Anche soltanto per smentire quello che un giorno ha detto il ministro degli esteri ucraino, e cioè che la Russia ha nella Corea del Nord un alleato più affidabile ed efficiente di quelli dell’Ucraina. Difficile dargli torto.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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