Notando l’efficacia con cui Israele e i suoi alleati occidentali hanno distrutto il 99 per cento delle centinaia di missili e droni con cui l’Iran ha sferrato il suo attacco contro Israele, molti si sono fatti questa domanda: se è possibile in Medio Oriente, allora perché non in Ucraina?
Anche gli ucraini se lo chiedono, a cominciare da Volodymyr Zelenskyj. Nel suo discorso quotidiano alla popolazione, il presidente ucraino ha elogiato “l’unità del mondo libero” e la sua efficacia nel difendere Israele, prima di aggiungere che “si potrebbe fare lo stesso per proteggere l’Ucraina”.
Più amaramente, i commentatori ucraini si domandano se il loro paese non sia un alleato di seconda classe rispetto a Israele, dato che sembra non avere diritto alla stessa solidarietà davanti a una minaccia simile.
I motivi di amarezza, in effetti, ci sono. Da mesi le città ucraine sono bersagliate dai droni russi, simili a quelli che l’Iran ha utilizzato contro Israele e che in precedenza ha consegnato a Mosca. Malgrado i progressi, la difesa ucraina non può impedire che siano colpiti gli edifici residenziali o infrastrutture a rischio, come una centrale elettrica a Kiev. L’esempio israeliano dimostra che è possibile sfiorare il 100 per cento di successo nell’intercettare droni e missili.
Gli occidentali rispondono in coro che le due situazioni non sono paragonabili, prima di tutto perché l’Iran si trova a più di duemila chilometri da Israele e i suoi missili e droni hanno sorvolato altri paesi per ore. È sui cieli della Giordania, infatti, che molti sono stati abbattuti. La Russia e l’Ucraina, invece, sono paesi confinanti. I missili e droni russi impiegano molto meno tempo a raggiungere Charkiv e Kiev.
Tuttavia, nessuno può negare che l’ostacolo principale sia di natura politica. Gli Stati Uniti e i loro alleati non vogliono correre il rischio di scatenare un conflitto diretto con la Russia, mentre rispetto all’Iran i timori sono chiaramente minori.
Fin dall’invasione russa, più di due anni fa, Zelenskyj chiede una no-fly zone per proteggere le grandi città ucraine, ma ha ricevuto un rifiuto categorico. Nessuno vuole rischiare di scontrarsi con una potenza nucleare. Fin dall’inizio, a ogni tappa degli aiuti militari, ha prevalso la stessa logica: prima l’esitazione, poi un passo avanti.
Ciò non toglie che per gli ucraini sia difficile accettare che gli statunitensi, pur essendo in disaccordo con i metodi adottati da Israele a Gaza, consegnino armi e munizioni a volontà correndo in soccorso dello stato ebraico quando arrivano i droni iraniani.
Allo stesso tempo l’esercito ucraino soffre una grave mancanza di munizioni e strumenti di difesa aerea, e dovrà aspettare ancora diverse settimane prima di ricevere gli F16 promessi, in un momento in cui i militari stanno arretrando e Charkiv è direttamente minacciata.
L’amarezza degli ucraini, infine, è alimentata anche dai giochi politici a Washington, dove l’aiuto per Kiev (a cui è stata promessa un’adesione alla Nato) è ancora bloccato al congresso. Al momento è in corso un’ultima manovra per sbloccare i fondi, ma l’obiettivo principale è quello di assicurare aiuti urgenti a Israele, la cui causa trova più consenso all’interno della classe politica statunitense.
Malgrado le differenze, il confronto tra le due situazioni è crudele: dopo aver pensato di essere in prima linea nella guerra per la libertà, gli ucraini si rendono conto di essere passati in secondo piano rispetto al Medio Oriente.
(Traduzione di Andrea Sparacino)
Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it