La morte violenta e imprevista di un capo di stato è sempre un test delicatissimo, per qualsiasi paese. Se poi parliamo di un paese come l’Iran e di un contesto esplosivo come quello del Medio Oriente dopo il 7 ottobre, allora è inevitabile che la tensione raggiunga i massimi livelli.
La morte in un incidente di elicottero del presidente iraniano Ebrahim Raisi e del suo ministro degli esteri Hossein Amir-Abdollahian è un evento che crea una crisi nella crisi, in un momento segnato dalla guerra e da pericolose rivalità.
Anche se le circostanze della morte di Raisi sono propizie a qualsiasi teoria del complotto, fino a prova contraria si è trattato di un incidente dovuto alle cattive condizioni meteorologiche. Il presidente, tra l’altro, viaggiava a bordo di un elicottero di fabbricazione statunitense che aveva più di cinquant’anni di vita. Nelle comunicazioni ufficiali e negli elementi che sono emersi finora non c’è nulla che faccia pensare a un attentato.
Ma trattandosi di un paese che appena cinque settimane fa si è scontrato direttamente con Israele, è scontato che questo sospetto circolerà. Le insinuazioni sono partite ancora prima della conferma del decesso di Raisi.
Per avere la misura dell’importanza politica di Raisi bisogna tenere presenti le complessità del sistema teocratico che governa l’Iran, dove il presidente eletto non è il numero uno del paese, ruolo che spetta invece alla Guida della rivoluzione, attualmente l’ayatollah Ali Khamenei, capo supremo dell’Iran. Il presidente guida lo stato, ma la sua autorità è limitata e deve fare riferimento alla Guida suprema per le questioni più importanti, compresa la sicurezza nazionale.
Ciò non toglie che la morte di Raisi spinga l’Iran verso l’ignoto. Il presidente, infatti, era considerato il favorito per sostituire la Guida suprema dopo la morte, in un complicato processo di successione. Considerando che Ali Khamenei ha 85 anni e una salute fragile, la questione del suo successore ossessiona il paese da anni.
Raisi, 63 anni, apparteneva all’ala intransigente del regime. Nel 2021 aveva preso il posto di Hassan Rohani, considerato un riformista (anche se questi termini vanno utilizzati con precauzione, in Iran). La scelta del prossimo capo dello stato appare particolarmente delicata alla luce di questo contesto in cui incombe una successione al livello più alto.
Lo schianto dell’elicottero di Raisi fa sprofondare la regione nell’imprevedibilità. L’Iran, infatti, è un elemento chiave dell’equazione regionale in quanto controlla diverse forze coinvolte nelle guerre attuali, dagli huthi nello Yemen a Hezbollah in Libano. Inoltre Teheran sostiene il movimento palestinese Hamas, anche se i legami storici non sono gli stessi.
In questo momento esiste un doppio rischio: quello dell’instabilità e quello dell’escalation, in uno scenario segnato dal dubbio e dalla paura. La gestione diplomatica e politica dei prossimi giorni sarà determinante.
Infine non possiamo dimenticare la situazione interna in Iran, dove la repressione feroce del movimento delle donne ha prodotto centinaia di vittime e condanne a morte. Anche in questo caso il rischio maggiore è quello di un inasprimento da parte di un regime che ha perso il controllo di parte dei giovani. In ballo c’è la sopravvivenza dell’autorità, e la scomparsa del presidente rende tutto più fragile.
Traduzione di Andrea Sparacino
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