Poco prima delle elezioni europee, un amico diplomatico mi faceva notare che oggi non esistono analisi politiche su scala mondiale che vanno oltre il prossimo 5 novembre, data delle presidenziali statunitensi e della scelta radicale tra Joe Biden e Donald Trump. Da domenica scorsa il nostro orizzonte si è addirittura ristretto, con l’annuncio delle elezioni anticipate in Francia il 30 giugno e il 7 luglio. È su questo sfondo che in Italia si sta svolgendo il G7.

Il mio amico mi ha ricordato che l’ultima volta in cui il mondo ha vissuto un’incertezza simile è stato il 9 novembre 1989, con la caduta del muro di Berlino. Quel giorno è scomparso un mondo intero di certezze negative, con tutti i rischi di una liberazione non preparata. La questione delle frontiere, quella delle armi nucleari e quella delle minoranze erano cariche di rischi, ma il vuoto è stato gestito da leader politici sufficientemente ragionevoli: Mitterrand, Gorbačëv, Bush, Kohl. Il risultato è stato senz’altro positivo.

Oggi la situazione è diversa. Il mondo è sprofondato nell’incertezza davanti a due tragiche guerre, in Ucraina e a Gaza, e alla rivalità geopolitica che coinvolge in pieno le grandi potenze. Al timone non c’è più nessuno. C’è stato un tempo in cui discutevamo della possibilità che il G7 fosse diventato il “governo del pianeta”. I sette paesi al centro del gruppo monopolizzavano la politica internazionale, davanti a un universo comunista economicamente al tracollo e a un terzo mondo – ancora non si parlava di sud globale – sottosviluppato. Il G7 del bicentenario della rivoluzione, organizzato a Parigi nell’estate del 1989, è stato un momento trionfante, con Gorbačëv come ospite prestigioso.

Oggi il vertice non rappresenta più le principali economie mondiali, soprattutto a causa dell’ascesa cinese e indiana, ed è diventato solo un club occidentale, ancora ricco e potente, ma caduto dal piedistallo. L’egemonia in declino del G7 è sfidata dalle potenze revisioniste (la Cina e la Russia) e dalla rivendicazione egalitaria dei paesi del sud. Il modello occidentale, inoltre, è contestato anche sul fronte interno.

Questa è la posta in gioco delle elezioni statunitensi e francesi, con l’ascesa delle forze sovraniste che hanno rotto con l’impostazione liberale e internazionalista fino a poco tempo fa ancora dominante. Donald Trump, la Brexit e oggi l’avanzata dell’estrema destra in Francia e nel resto d’Europa hanno in comune, pur con le loro caratteristiche specifiche, la volontà di farla finita con il modello della globalizzazione dominante.

I leader del G7 lo hanno capito troppo tardi e non hanno saputo, almeno finora, rispondere in modo convincente a questa doppia contestazione, interna ed esterna.

Questo rende l’incertezza di cui parlavo estremamente pericolosa: alle scosse assestate dai regimi autoritari e dittatoriali risponde la perdita di legittimità interna. Non siamo nel 1989, quando cadevano i muri, ma in un momento inedito in cui nessuno riesce a prevedere come sarà il mondo nel futuro imminente. Il G7 italiano, indebolito, è il simbolo di questa tensione vertiginosa.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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