È un paradosso: le elezioni europee, che secondo molti avrebbero provocato un terremoto, hanno invece prodotto una relativa continuità rispetto ai grandi equilibri. Di contro, la crisi è esplosa dove nessuno se lo aspettava: in Francia, con il rischio di conseguenze gravi in Europa.
La sera del 17 giugno i leader dei 27 paesi dell’Unione si ritroveranno a Bruxelles per una prima consultazione sui “top jobs”, gli incarichi più importanti da assegnare a livello comunitario: i presidenti della Commissione europea, del consiglio europeo, del parlamento e l’alto rappresentante per le relazioni internazionali.
A meno di grandi sorprese, la maggioranza composta dal Partito popolare europeo (Ppe, destra), dai socialisti e dai liberali resterà invariata. Questo significa che i socialisti, compresi quelli francesi, si alleeranno con la destra in Europa, mentre in Francia faranno parte di una coalizione a sinistra in vista delle elezioni anticipate del 30 giugno e 7 luglio. Questo sviluppo deriva da una cultura del compromesso che è al centro del progetto europeo, per quando assente dalla scena politica francese. Ci siamo abituati, tranne quando la crisi emerge a livello nazionale.
Il rischio del caos in un paese chiave
In Francia, durante la campagna per le europee non si è parlato molto di Europa, dunque figuriamoci se se ne parlerà in occasione di un voto nazionale. I temi caldi sono altri. Ma non parlarne non significa che il voto non avrà conseguenze in Europa. Senza dirlo ad alta voce, la maggioranza dei partner della Francia teme una serie di scenari catastrofici, a cominciare da quello di una vittoria del Rassemblement national (Rn), che da tempo flirta con l’idea della “Frexit” e con l’abbandono dell’euro, e da cui nessuno sa bene cosa aspettarsi in quest’ottica. In ogni caso i paesi europei sanno che un governo dell’estrema destra in Francia rappresenterebbe una pessima notizia per l’Ucraina a causa dei legami tra l’Rn e Putin.
L’altro spauracchio è quello dell’impasse politica, del rischio di una paralisi o del caos in un paese chiave dell’Unione. Uno sviluppo di questo tipo comporterebbe il blocco di uno dei motori dell’Europa, nel peggior momento possibile. Oggi, infatti, l’Unione vive una fase decisiva della sua storia, tra la guerra in Ucraina, la possibile vittoria di Donald Trump, la trasformazione tecnologica e la ridefinizione dei rapporti di forza globali.
Un’eclissi francese costruirebbe un handicap rispetto a tutte queste sfide, a cui possiamo aggiungere quelle della difesa, dell’allargamento e della riforma del funzionamento a “35”. I partner della Francia si rendono perfettamente conto di non poter in alcun modo influenzare il dibattito politico francese. Il nostro paese li ha abituati alle sue crisi di nervi e alle sue eruzioni vulcaniche mentre altri preferiscono evoluzioni più dolci.
Due mesi fa, in un’intervista concessa alla rivista The Economist, Emmanuel Macron sottolineava il “pericolo mortale” corso dall’Europa. Sarebbe il colmo se, con la sua mossa azzardata, fosse proprio Macron a precipitare la crisi contro cui metteva in guardia gli altri. La settimana scorsa un buon conoscitore della Francia paragonava lo scioglimento della camera francese alla decisione di indire un referendum sulla Brexit presa da David Cameron nel 2015. All’epoca il primo ministro britannico era convinto di vincere, e invece ha fatto sprofondare il Regno Unito in una crisi lacerante.
(Traduzione di Andrea Sparacino)
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