Una pagina di storia si sta chiudendo, quella della presenza militare attiva della Francia in Africa, che sarà presto ridotta al minimo dopo essere stata un elemento centrale dell’influenza francese nell’ex impero coloniale.

Secondo i dati che hanno cominciato a circolare, i soldati nelle basi africane saranno considerevolmente ridotti: trecento in Ciad al posto dei mille di oggi, un centinaio in Costa d’Avorio (fino a qualche mese fa erano novecento) e cento a Dakar, contro gli attuali 350. Solo la base a Gibuti sfugge a questa riduzione, con i suoi 1.500 uomini. Tuttavia, i suoi obiettivi sono rivolti soprattutto verso il mar Rosso e l’oceano Indiano, una zona di grande importanza strategica.

C’è stato un tempo, non così lontano, in cui i soldati francesi in Africa occidentale e centrale erano migliaia. Nel Sahel negli ultimi anni erano impegnati nella lotta al terrorismo, mentre da decenni, pur senza ammetterlo, hanno fatto da scudo ai regimi africani legati a Parigi. Una lunga storia segnata da operazioni come quelle della legione straniera a Kolwezi nel 1978, nell’est dell’allora Zaire, o dalle guerre in Ciad e Camerun. Ora tutto questo non esiste più. L’Africa è cambiata e non vuole più saperne dei militari francesi.

È una svolta epocale. Nel 1960 la Francia del generale De Gaulle, diversamente da altre potenze coloniali, aveva cominciato ad andarsene dalle colonie ma non del tutto, dando vita alla Françafrique, un sistema di influenze a difesa degli interessi francesi nel continente e dei suoi alleati africani.

Ho conosciuto un’Africa francofona dove i rappresentanti della Francia facevano il bello e il cattivo tempo, come il colonnello francese a capo della guardia presidenziale nella Repubblica Centrafricana, che negli anni ottanta aveva più potere di qualsiasi ministro. Per molti regimi tutt’altro che democratici l’esercito francese era un’assicurazione sulla vita.

Oggi quell’epoca è lontana, ma scrivere la parola “fine” è stato difficile. Perfino Emmanuel Macron, che aveva compreso la necessità di voltare pagina, non ha saputo farlo, soprattutto a causa dell’insicurezza nel Sahel. Incapace di andare via al momento giusto, la Francia è stata cacciata dal Mali, dal Niger e dal Burkina Faso, innescando l’attuale cambiamento deciso dal suo presidente.

Il ruolo della Francia si evolve e questo è perfettamente normale. Oggi non c’è alcuna nostalgia per l’epoca della Françafrique, un periodo segnato da ingerenze e abusi. Tuttavia, resta da definire il nuovo posto di Parigi in un’Africa più esigente sulla sua sovranità, anche se in Mali la sostituzione delle truppe francesi con i mercenari russi non è certo un passo avanti.

Il caso di scuola è quello del Senegal, fiore all’occhiello dell’Africa dell’ovest che ha appena eletto un governo mosso da ideali panafricanisti. L’uomo forte del nuovo potere, il primo ministro Ousmane Sonko, ha criticato la presenza militare francese e vuole interrompere la dipendenza da Parigi, senza però interrompere del tutto le relazioni.

La nuova pagina è dunque ancora da scrivere. Ma chi ne sarà l’autore? Le incertezze politiche in Francia complicano le cose. La politica africana, infatti, è un tema importante – per quanto indiretto – in vista delle elezioni anticipate francesi.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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