Come tutte le guerre, anche questa è cominciata con operazioni che sono state definite “limitate”. Due settimane dopo, però, i limiti sono già svaniti. Israele ha inviato circa 15mila uomini in Libano, mentre i bombardamenti colpiscono circa un quarto del territorio del paese. Gli abitanti di villaggi lontani fino a sessanta chilometri dalla frontiera con Israele hanno ricevuto un ordine di evacuazione. Secondo l’Onu un milione di libanesi è stato costretto a lasciare la propria casa.

Fino a che punto si spingerà Benjamin Netanyahu? E soprattutto, quali sono gli obiettivi di questa guerra? Una parte della risposta è chiara: lo stato ebraico vuole distruggere il più possibile le strutture militari di Hezbollah, il movimento filoiraniano che ha seminato insicurezza nel nord d’Israele, esprimendo la propria solidarietà ad Hamas dopo il 7 ottobre. Hezbollah ha visto uccidere il suo capo Hassan Nasrallah e diversi dirigenti. Con la sua offensiva, Israele sta indebolendo progressivamente una milizia più potente dell’esercito regolare libanese.

Ma questo evidentemente non è l’unico scopo di Tel Aviv. In settimana il primo ministro israeliano ha invitato i libanesi a ribellarsi contro Hezbollah, altrimenti Israele porterà avanti una guerra che provocherà “una distruzione e una sofferenza simili a quelle che vediamo a Gaza”. Le parole di Netanyahu, quanto meno, sono inequivocabili.

Questo significa che l’obiettivo di Israele non è solo militare e legato alla sicurezza nel nord del paese. Chiedendo alla popolazione di rivoltarsi contro Hezbollah, il primo ministro israeliano vuole far emergere un “altro Libano” in cui il movimento filoiraniano non abbia più il ruolo di primo piano che ha oggi.

Davvero Netanyahu crede che possa succedere? Gran parte dei libanesi denuncia da anni le responsabilità di Hezbollah nell’impasse politica nazionale e il suo coinvolgimento in alcuni dei peggiori eventi accaduti nel paese, dagli omicidi politici come quello dell’ex primo ministro Rafiq Hariri all’esplosione del porto di Beirut.

Eppure nessuno si è mai sognato di chiedere a Israele di “liberare” il Libano bombardandolo, e questo nonostante la fiducia nella classe politica libanese, che ha già ampiamente dimostrato la sua incapacità, sia assolutamente nulla.

In realtà Netanyahu ha una prospettiva ancora più ampia, che comprende un rimodellamento del Medio Oriente che riguarderebbe anche l’Iran. Israele si prepara a lanciare una serie di attacchi contro Teheran, anche a rischio di trascinare l’intera regione in una guerra totale.

Gli Stati Uniti lasciano fare anche se cercano di influenzare Israele sulla scelta degli obiettivi, mentre gli europei chiedono un cessate il fuoco senza che nessuno li ascolti. Netanyahu ha dunque mano libera per portare avanti le sue guerre, forte anche del sostegno degli israeliani nei confronti della sua offensiva contro Hezbollah e l’Iran.

Questa attività su diversi fronti somiglia a una strategia del rilancio continuo, anche perché in passato tutti i tentativi di rimodellare un paese attraverso la guerra si sono rivelati fallimentari, come dimostra la storia del Libano.

La sera dell’11 ottobre in Israele comincia la festa di Yom Kippur, la festa ebraica dell’espiazione. Il clima, però, è profondamente triste per tutti gli abitanti di una regione sottoposta a un’escalation drammatica in cui le voci moderate, quando esistono, sono sovrastate dal rumore delle armi.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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