L’anno scorso, nel clamore suscitato dall’arrivo di ChatGpt, un giornale governativo cinese aveva cercato di rassicurare i lettori, impressionati dal vantaggio americano nel campo dell’intelligenza artificiale. “Non vi dovete preoccupare troppo, perché stiamo lavorando per raggiungerli”, scriveva il Global Times.

La settimana scorsa una startup cinese ha presentato la risposta di Pechino a ChatGpt: si chiama “Deepseek 3” e garantirà risultati paragonabili o addirittura superiori a quelli degli americani al costo di appena sei milioni di dollari contro le centinaia di milioni spese per ChatGpt. Deepseek 3 usa semiconduttori meno sofisticati e consuma molta meno energia.

L’azienda cinese ha puntato molto sulla natura open source del suo prodotto. Questo significa che chiunque, in tutto il mondo, può copiarne il codice e usarlo gratuitamente. Un attacco al modello di ChatGpt, le cui applicazioni più performanti sono a pagamento.

La vicenda rivela fino a che punto l’intelligenza artificiale sia diventata un campo di rivalità economica, ma anche geopolitica che vede contrapporsi le superpotenze del ventunesimo secolo.

Durante il primo mandato di Donald Trump e quello di Joe Biden, gli Stati Uniti hanno imposto una serie di sanzioni tecnologiche alla Cina, che oggi non può accedere ai semiconduttori più sofisticati né ai finanziamenti e alla tecnologia americana. Negli Stati Uniti le aziende cinesi fanno ormai parte di una lista nera.

Questi ostacoli hanno inevitabilmente creato problemi a Pechino, ma hanno anche spinto la Cina a sviluppare le sue tecnologie. Xi Jinping considera la sfida tecnologica come una priorità assoluta e investe somme colossali nella ricerca di soluzioni nazionali che possano ridurre la dipendenza dall’estero. Si tratta dell’equivalente cinese del “derisking”, la politica adottata dagli europei e dagli americani per non dipendere più dalla Cina.

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Cosa succede nel mondo dell’intelligenza artificiale. Ogni venerdì, a cura di Alberto Puliafito.
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Questa rivalità si applica a tutti i campi tecnologici, come abbiamo visto nel caso dell’azienda cinese Huawei. Tuttavia l’intelligenza artificiale è un ambito particolarmente delicato, perché oggi è al centro della trasformazione tecnologica di tutti i settori, compresa la difesa. Le armi del futuro saranno gestite dall’intelligenza artificiale e dunque la posta in gioco è strategica.

Il mese scorso Alex Karp, amministratore delegato dell’azienda americana Palantir, molto attiva nel campo della raccolta di informazioni, ha dichiarato che la “rivoluzione dell’intelligenza artificiale” è “americana”. “È nostra, le aziende sono americane, il denaro è americano e non esiste un’altra realtà capace di farci concorrenza, né l’Europa che è anemica e pensa soltanto ai regolamenti, né tanto meno la Cina o la Russia. Chi vorrebbe mai operare in questi paesi?”, si domandava Karp con una certa dose di arroganza.

Deepseek 3 dimostra che la Cina non ha ancora detto l’ultima parola. La Silicon valley, che sta per riabbracciare il trumpismo, resta estremamente potente, ma ora deve fare i conti con un avversario dall’altra parte del pianeta. Questo scontro modellerà il nostro secolo, nel male e nel bene.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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