È un gesto di sovranità concreto e simbolico. L’8 febbraio gli stati baltici – Estonia, Lettonia e Lituania – si sono scollegati dalla rete elettrica russa per collegarsi il giorno successivo a quella europea.
“Che grande giorno! È il momento più importante della storia energetica della Lituania indipendente”, ha dichiarato con entusiasmo il ministro degli esteri a Vilnius, Kęstutis Budrys, in occasione di un evento a cui ha partecipato anche la presidente della Commissione europea Ursula Von der Leyen.
Dopo essere stati assorbiti all’interno dell’Unione Sovietica all’inizio della seconda guerra mondiale, gli stati baltici sono diventati indipendenti oltre trent’anni fa, e da allora hanno aderito all’Unione europea e alla Nato tagliando progressivamente i ponti con la Russia.
L’invasione dell’Ucraina, cominciata quasi tre anni fa, ha convinto i governi baltici a completare la separazione, in particolare nel campo dell’energia, diventata uno strumento di pressione nei loro confronti. L’8 febbraio, quindi, i cavi ad alta tensione provenienti dalla Bielorussia e dalla Russia sono stati recisi, segnando la fine di un’epoca di dipendenza.
L’energia è chiaramente un terreno di scontro. La fine del collegamento con Mosca arriva in un momento in cui la regione baltica è in allerta dopo diversi sabotaggi dei cavi sottomarini che assicuravano le telecomunicazioni e la fornitura elettrica, al punto che la Nato ha appena lanciato un’operazione speciale di sorveglianza dei cavi che giacciono in fondo al mare, battezzata con il nome “Sentinella del Baltico”. All’operazione partecipano le marine militari di diversi paesi europei.
Per la Russia la decisione degli stati baltici ha un doppio effetto. Il primo è evidentemente quello di sancire definitivamente la rottura con l’Europa in campo energetico. Prima dell’invasione dell’Ucraina la Russia era il primo fornitore di gas per buona parte dell’Europa.
Un ennesimo atto di separazione è arrivato il mese scorso con la fine del transito del gas russo attraverso la rete ucraina, che è costata a Mosca sei miliardi di euro di incassi annuali. C’è voluto un po’ di tempo, ma alla fine la rottura si è consumata.
La seconda conseguenza, altrettanto concreta, riguarda l’exclave russa di Kaliningrad. La vecchia Königsberg tedesca è infatti un territorio incuneato tra il Baltico, la Polonia e la Lituania. Abitata da circa un milione di russi, Kaliningrad riceveva l’elettricità dai cavi ad alta tensione che la Lituania ha tagliato l’8 febbraio.
Kaliningrad sarà dunque costretta a produrre elettricità in modo autonomo. Dopo il preavviso da parte di Vilnius, le autorità locali hanno costruito diverse centrali a gas per preparasi alla nuova situazione, ma resta il fatto che l’exclave si ritrova un po’ più isolata dalla Russia. Questo territorio è potenzialmente un focolaio di tensione in una regione dove i pericoli non mancano.
Collegandosi alla rete europea, i tre stati baltici hanno portato a termine la svolta storica avviata quando hanno voltato le spalle all’Urss e poi alla Russia. Anche l’Ucraina e la piccola Moldova hanno orientato i loro collegamenti energetici verso l’Unione, prendendo le distanze dell’ingombrante vicino russo.
Senza fare troppo rumore, quest’Europa si costruisce e si integra progressivamente. È una delle conseguenze della decisione fatidica di Putin di invadere l’Ucraina, nonché una grave perdita per la Russia.
(Traduzione di Andrea Sparacino)
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