L’attesa liberazione il 16 marzo di Nazanin Zaghari-Ratcliffe e Anoosheh Ashoori, due persone con la doppia cittadinanza britannica e iraniana che erano detenute da anni in Iran, è una svolta costruttiva nelle relazioni tra Londra e Teheran. Il risultato è stato ottenuto grazie all’instancabile lavoro dietro le quinte di avvocati e funzionari, ai progressi nei colloqui di Vienna sul nucleare, al sostegno del governo dell’Oman e a una campagna di opinione pubblica internazionale.
Tuttavia, nonostante questo passo avanti, tra l’Iran e il Regno Unito restano in sospeso alcune questioni delicate. Non ultimo il timore che rimborsando all’Iran il suo debito quarantennale di 400 milioni di sterline (477 milioni di euro), l’equivalente di un anticipo pagato da Teheran negli anni settanta per una consegna di carri armati poi sospesa, il governo britannico possa giustificare la presa di ostaggi da parte dell’Iran. È per questo che fin dall’arresto di Zaghari-Ratcliffe nel 2016 il governo di Londra è stato giustamente riluttante a stabilire una connessione tra la prospettiva del suo rilascio e il pagamento del debito.
Nel 2016 il presidente statunitense Barack Obama era stato molto criticato per aver rimborsato 400 milioni di dollari a Teheran in circostanze simili, dopo il rilascio di quattro persone con doppia cittadinanza statunitense e iraniana. Per rispettare le normative sulle sanzioni, il controterrorismo e il riciclaggio di denaro, e per evitare di dare la stessa immagine negativa di Obama, il ministero degli esteri britannico ha annunciato che i soldi del debito sono stati bloccati e saranno usati solo a scopi umanitari.
Un limbo
Tuttavia la presa degli ostaggi rimane una questione aperta. Al momento il ministero degli esteri britannico suggerisce a chi ha un doppio passaporto britannico e iraniano di non andare in Iran, dove sono ancora detenute due persone: Mehran Raoof è stato condannato a dieci anni di carcere con accuse inerenti alla sicurezza nazionale, mentre l’attivista per l’ambiente Morad Tahbaz, che ha anche la cittadinanza statunitense, ha avuto il permesso di uscire dal carcere ma non di lasciare l’Iran. Per ora Tahbaz sembra che sia trattato come detenuto statunitense dal governo iraniano. Il suo caso, insieme a quelli di Siamak e Baquer Namazi e di Emad Sharghi, resta in un limbo ed è legato all’esito dei negoziati sul nucleare in corso tra gli Stati Uniti e l’Iran. L’amministrazione Biden è tornata al tavolo dei negoziati nell’aprile del 2021, aprendo la strada ai piccoli progressi che hanno avuto un ruolo nella liberazione di Ashoori e Zaghari-Ratcliffe.
In questi colloqui è racchiusa la chiave del futuro dell’Iran sulla scena internazionale e il proseguimento del suo programma nucleare
In questi colloqui è racchiusa la chiave del futuro dell’Iran sulla scena internazionale e del proseguimento del suo programma nucleare. Il rimborso del debito del Regno Unito è stato ulteriormente ritardato dal ritiro deciso nel 2018 dall’amministrazione Trump dall’accordo con l’Iran sul nucleare (il Jcpoa), accompagnato da un aumento delle pressioni esercitate dalle sanzioni all’Iran. Tuttavia, nonostante il ritiro di Trump dall’accordo e la conseguente accelerazione data da Teheran al nucleare, che ha ridotto il “tempo d’attesa” relativo al nucleare iraniano da un anno a qualche mese, il Regno Unito, la Francia e la Germania hanno lavorato per tenere insieme quella che di fatto era un’intesa multilaterale efficace durante i difficili anni di Trump.
La fine è vicina
Dopo undici mesi di negoziati si riesce a intravedere la fine dei colloqui sul nucleare, ma ci sono alcuni problemi dell’ultimo momento da risolvere. Ci si aspetta che gran parte delle sanzioni imposte all’Iran durante l’amministrazione Trump siano tolte in cambio del ritorno di Teheran entro i limiti stabiliti nel 2015 con il primo accordo. Cosa più importante, il programma dell’Iran sarebbe di nuovo sottoposto a supervisione e monitoraggio dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica (Aiea). La scorsa settimana la Russia, che finora era stata un attore costruttivo nei negoziati, ha cercato di sabotarne i progressi chiedendo garanzie scritte per proteggere la sua partecipazione all’accordo dalle sanzioni imposte per l’attacco all’Ucraina. La questione si è risolta quando l’amministrazione Biden ha dato a Mosca le garanzie necessarie a mettere la sua cooperazione e il sostegno all’intesa al riparo dalle sanzioni per la guerra.
In questa fase finale Teheran deve chiarire alcune questioni: sta cercando di ottenere garanzie economiche più precise per proteggere il Jcpoa nel caso in cui un futuro presidente statunitense decida di ritirarsi di nuovo dall’accordo, oltre alla rimozione dei Guardiani della rivoluzione dalla lista dei gruppi terroristi degli Stati Uniti. Non sono concessioni semplici per Washington. L’opposizione repubblicana al Jcpoa e le critiche ai negoziati condotti con Teheran in un delicato anno elettorale continuano a legare le mani a Biden impedendogli di fare concessioni importanti. Per Stati Uniti, Regno Unito ed Europa sarà difficile sottovalutare il palese attacco missilistico lanciato tra il 12 e il 13 marzo dai Guardiani della rivoluzione, il braccio armato della Repubblica islamica, su Erbil, in Iraq.
Per raggiungere un accordo tutte le parti coinvolte dovranno valutare bene i progressi fatti rispetto ai rischi crescenti di un collasso. In uno scenario senza intesa Teheran darebbe sicuramente un’ulteriore accelerazione al suo programma nucleare e farebbe aumentare le tensioni regionali, in particolare con Israele. I paesi del Golfo sono anche preoccupati del fatto che le attività regionali dell’Iran possano sfuggire a ogni controllo. Emirati Arabi Uniti e Arabia Saudita, in particolare, sono vulnerabili agli attacchi missilistici lanciati dagli huthi sostenuti dall’Iran nello Yemen. Che ci sia l’accordo o meno, le fragili dinamiche della sicurezza regionale richiedono attenzione e sostegno da parte della comunità internazionale.
La liberazione di Zaghari-Ratcliffe e di Ashoori è una svolta importante nei rapporti tra Regno Unito e Iran, ma la soluzione è ancora lontana.
(Traduzione di Giusy Muzzopappa)
Questo articolo è uscito sul quotidiano britannico The Guardian.
Internazionale ha una newsletter che racconta cosa succede in Medio Oriente. Ci si iscrive qui.
Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it