Il nuovo patto di stabilità europeo proposto a luglio fissa al 60 per cento il rapporto tra debito pubblico e pil. È questo l’obiettivo su cui tutti i paesi dell’Unione europea dovranno convergere.

Chi supera la soglia (oggi lo fanno tutti i paesi dell’euro, tranne Lussemburgo, Slovenia, Slovacchia e Finlandia) dovrà ridurre di un ventesimo all’anno il debito in eccesso. Chi non rispetta il patto dovrà istituire un deposito infruttifero pari allo 0,2 per cento del pil più il 10 per cento dello scostamento dall’obiettivo previsto per il piano di rientro.

Il deposito sarà eventualmente convertito in multa e ridistribuito agli altri paesi dell’euro.

Se questa strategia di rientro del debito fosse stata applicata fin dalla nascita della moneta unica, ora il rapporto tra debito pubblico e pil dell’Italia sarebbe del 70 per cento, non del 120 per cento. Il nostro pae­se dovrà ridurre il debito pubblico di 50 miliardi all’anno per i prossimi dieci anni.

Considerando gli attuali tassi d’interesse e gli scenari di crescita non proprio esaltanti della nostra economia, per ottenere questo aggiustamento bisognerà realizzare un avanzo primario (il surplus di bilancio senza la spesa per gli interessi sul debito pubblico) pari al 5 per cento del pil.

Il fatto sconcertante è che il governo non informa i cittadini.

Prima della richiesta del voto di fiducia, il presidente del consiglio non ha fatto nessun riferimento alla questione nei suoi interventi alla camera e al senato. Neanche il ministro dell’economia Giulio Tremonti ne ha parlato nei suoi ripetuti interventi sui mezzi d’informazione.

Internazionale, numero 867, 8 ottobre 2010

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