I lavoratori autonomi in Italia sono 5,7 milioni, il 24 per cento della forza lavoro. Una quota quasi doppia rispetto alla media dell’Unione europea. Tra le maglie del lavoro autonomo, in realtà, si celano prestazioni e condizioni lavorative molto diverse e, come osserva Costanzo Ranci su lavoce.info, questa tipologia di lavoratori è cambiata molto negli ultimi dieci anni.

Nelle posizioni più forti ci sono i grandi professionisti affermati, i piccoli imprenditori di successo, i nuovi tecnici dei settori emergenti. Questi lavoratori godono di redditi e patrimoni elevati, accresciuti grazie a regimi contributivi e fiscali compiacenti. In posizione più debole si collocano i nuovi professionisti del terziario avanzato, esposti a una forte concorrenza, i piccoli commercianti e gli artigiani, che operano in settori o territori sempre più di nicchia e formano la massa dei lavoratori autonomi vittime delle esternalizzazioni cominciate negli anni novanta.

Infine ci sono i precari che hanno contratti di lavoro autonomo senza le tutele riservate ai dipendenti. Sono sempre di più quelli che si collocano in quest’area grigia tra autonomia e dipendenza. Il 22 per cento dei lavoratori autonomi (1,1 milioni) sono mono-committenti e quasi il 40 per cento (1,6 milioni) ha vincoli di orario o luogo di lavoro, restrizioni tipiche del lavoro dipendente: i due vincoli si cumulano nel 5 per cento dei casi (260 mila persone).

Questi lavoratori sono particolarmente vulnerabile ai rischi di mercato e non accedono alle attuali forme di protezione sociale.

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