L’Italia occupa il 69° posto nel Corruption perceptions index (Cpi), l’indice di Transparency international che misura la percezione del livello di corruzione del settore pubblico. In una scala da 0 a 100, dove 100 rappresenta l’assenza di corruzione percepita, l’Italia ottiene nel 2013 il punteggio di 43, peggiorando di un punto rispetto all’anno precedente. Per trovare un altro grande paese europeo bisogna risalire al 22° posto della Francia.

Non mancano gli studiosi convinti che ci sia una correlazione tra la corruzione e la crescita: le tangenti aiuterebbero a eludere gli ostacoli legali e tenderebbero addirittura a selezionare i migliori nell’assegnazione degli appalti, dato che sarebbero i migliori quelli disposti a pagare mazzette più sostanziose. Addirittura, la corruzione è stata presentata come il collante che permette all’establishment di accumulare i fondi necessari a tenere unito il corpo politico, condizione imprescindibile per qualunque politica di sviluppo.

Alcuni la considerano una molla in grado di frenare la sovrapproduzione legislativa che ostacola la crescita. Non è affatto così. Come sottolinea Leonardo Borlini su

lavoce.info, i dati dimostrano esattamente il contrario. Sia la Banca mondiale sia Transparency international rivelano che il nesso tra la corruzione e il pil è inversamente proporzionale e che, escluse sporadiche eccezioni, le procedure burocratiche lunghe corrispondono ad alti livelli di corruzione.

Inutile quindi cercare giustificazioni: la corruzione e la crescita viaggiano su binari opposti. Spetta a noi seguire quello giusto.

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