Ormai il debito pubblico costituisce in media il 10 per cento degli attivi delle banche italiane. Gli istituti hanno ottenuto rendimenti alti dai titoli di stato, che spesso sono stati comprati con la liquidità a basso costo ricevuta dalla Banca centrale europea (Bce).

Questo giochetto, ha osservato Silvia Merler sui siti Bruegel e lavoce.info, ha permesso alle banche di restare a galla negli ultimi tre anni, ma ha distolto l’attenzione dai problemi strutturali degli istituti. Soprattutto quello della scarsa redditività: i dati della Bce dicono che il return on equity medio (la redditività del capitale proprio) delle banche italiane è stato negativo tra il 2010 e il 2013.

Questa situazione non è sostenibile. Anche se l’economia migliorasse e le sofferenze bancarie dovessero calare, la bassa redditività resterebbe un problema, a causa delle inefficienze sia interne (per esempio, l’elevato numero di filiali a fronte di una crescente gestione online dei conti bancari) sia dell’ambiente circostante (per esempio, le lungaggini del sistema giudiziario).

Una possibile soluzione sarebbe un processo di consolidamento bancario, com’è avvenuto in Spagna. Finora in Italia questo consolidamento è stato limitato e frenato dall’intrico di partecipazioni incrociate, in cui le fondazioni bancarie, dominate dalla politica locale, giocano un ruolo cruciale.

I risultati degli stress test della Bce non saranno stati inutili se ci costringeranno ad affrontare i veri problemi che affliggono il nostro sistema bancario, a partire dalla sua governance.

Questo articolo è stato pubblicato il 7 novembre 2014 a pagina 111 di Internazionale, con il titolo “10”. Compra questo numero | Abbonati

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