L’enfasi sul tema della violenza a scuola può essere fuorviante e può suscitare non riflessioni, ma emozioni che qualche politico, non solo in Italia, cavalca proponendo metal detector e perquisizioni degli zainetti.

Così ha fatto da ultimo il 27 maggio il ministro francese dell’educazione Xavier Darcos. Ma, spogliati dall’enfasi, i dati sulla violenza nelle scuole vengono dai paesi più diversi, parrebbe (anche se un confronto statistico è avventuroso) soprattutto da Francia, Germania, in minor misura Regno Unito.

Porte elettroniche e simili servono a poco. Sono troppo diverse, infatti, le forme, le fonti e le destinazioni della violenza: violenze psicologiche e fisiche di scolari tra loro (il bullismo), di scolari verso insegnanti, di insegnanti su scolari, tra insegnanti, di estranei alla scuola su persone e arredi.

La scuola non è isolata da vandalismi gratuiti e da fatti e modelli violenti che inquinano l’intera vita sociale.

Quello che le scuole possono fare e in gran misura fanno è “favorire il pieno sviluppo della persona nella costruzione del sé, di corrette e significative relazioni con gli altri e di una positiva interazione con la realtà naturale e sociale”. Nel 2007 queste parole accompagnavano la legge italiana di innalzamento dell’obbligo a 16 anni, prontamente abrogata dal seguente e attuale governo.

Le ricorda con qualche rimpianto l’ultima newsletter dell’Adi, Associazione docenti italiani, commentando il “pasticcio” del 5 in condotta elevato a causa di estromissione dagli esami di stato.

Internazionale, numero 798, 5 giugno 2009

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