Le parole hanno sempre contato e possono essere decisive nelle società della comunicazione. Di giustizia ci sarebbe molto bisogno in una società diseguale, dove per giunta un processo può durare trenta, perfino quarant’anni. Voi governate, le diseguaglianze non vi turbano, ma i magistrati vi danno fastidio. I provvedimenti per punirli chiamateli “riforma della giustizia”: chi si oppone lo inchiodate dicendogli che è contrario alla giustizia. Fate lo stesso per la scuola. Ha bisogno di idee nuove, edifici adatti, più fondi? Voi tagliate risorse, orari e personale, pasticciate i programmi vecchi, e servite in tavola chiamando il tutto “riforma della scuola”. L’attenzione alle parole non sarà mai troppa. In Germania molti politici promettono che da qui al 2015 il 10 per cento del prodotto nazionale sarà destinato alla Bildung, istruzione, educazione, insegnamento, apprendimento, formazione. Bene, scrive Jan-Martin Wiarda sulla Zeit Online, mai troppo l’investimento per la scuola. Facciamo però i conti: oggi siamo al 4,1 per cento e solo per mantenere questa quota, data la crescita impetuosa del pil tedesco (3,4 per cento all’anno), ci vorrebbero già da ora 11 miliardi aggiuntivi. Dove trovarli? Amburgo e Hessen stanno riducendo gli stanziamenti per l’università, i Länder più poveri sono strozzati dai debiti, la stessa federazione stenta ad aggiungere un miliardo di euro. Il 10 per cento è un traguardo lontano, irreale. Parlarne come se fosse possibile è un parlare a vuoto, un leeres Versprechen, un vaniloquio.
Internazionale, numero 901, 10 giugno 2011
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