Molti anni fa un matematico e grande educatore, Zoltán Dienes, individuò un paradosso educativo in cui sono impigliati i gruppi dirigenti, anche i più reazionari: le scuole e le università che si limitino a irreggimentare e vogliano produrre servitori dei bisogni del padronato non funzionano. Apprendimento e insegnamento comportano sempre una quota di libertà e inventività, con il rischio che crescano persone intelligenti e indipendenti.
Il paradosso si può aggirare solo contraendo gli spazi per le scuole e le università pubbliche. Lo progettarono anni fa alcuni liberisti accaniti in un summit a New York (ma non si accorsero che tra loro c’era anche Emilia Ferreiro, che raccontò la cosa). Col pretesto della crisi, i tagliatori di teste pensanti cercano di procedere alacremente. Noam Chomsky, in un intervento a Toronto, pubblicato da Alternet (8 agosto), ha denunciato la riduzione dei finanziamenti pubblici e l’aumento delle tasse per studiare, particolarmente pesanti negli Stati Uniti. Ma anche altrove le proteste si moltiplicano.
In Gran Bretagna la chiesa anglicana si è unita agli studenti e alle università nel condannare i tagli all’istruzione, dalla Turchia al Cile gli studenti sono in piazza. In Europa alla politica di tagli si sottraggono in parte Paesi Bassi e Germania, ma non Francia, Lettonia, Italia. E contro i tagli protesta la stessa commissaria europea all’educazione, Androulla Vassiliou. I liberisti puntano sulle famiglie. Potranno queste sopperire alle deficienze pubbliche che si annunciano?
Internazionale, numero 913, 2 settembre 2011
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