Tra i fattori che rendono complessa la realtà della scuola c’è anche l’intreccio tra il persistere di dimensioni locali e l’insorgere di dimensioni internazionali, planetarie. Da tremila anni nel mondo, tolta l’area sinogiapponese, un po’ alla volta abbiamo imparato un modo di scrittura e lettura inventato da povere genti del Sinai e diffuso poi da fenici e greci: una lettera per ogni tipo di suono che compone le parole di una lingua. La scrittura alfabetica si è adattata e differenziata a seconda delle lingue, delle tecniche e dei materiali, dall’argilla al computer. Ma il principio profondo è unico. E unico è il principio delle cifre posizionali e decimali che chiamiamo arabe e adoperiamo nel mondo con adattamenti minimi, salvo leggere e dire i nomi delle cifre diversamente da lingua a lingua.

Ogni volta le innovazioni sono state accompagnate da lamenti e dalla sopravvivenza di modi più arcaici: ancor oggi geroglifici e faccette appaiono in testi in scrittura alfabetica e traduzioni in cifre romane delle cifre arabe figurano sui frontoni delle case. Anche non considerando l’informatizzazione, molte novità stanno oggi passando nelle scuole da un paese all’altro. Si moltiplicano quindi i sistematici confronti critici tra innovazioni educative e scuole nel mondo offerti dall’Ocse e dall’Unesco, dal Word innovation summit for education (Wise) in Qatar, da Learn­ing without frontiers in Gran Bretagna, spesso dall’Economist e dall’Associazione docenti italiani. Vita dura per i cupi misoneisti.

Internazionale, numero 935, 10 febbraio 2012

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