L’Economist ha espresso un giudizio molto negativo sulle università degli Stati Uniti con un lungo articolo. In apertura, cinque righe ricordano che sono in testa nelle graduatorie internazionali per numero di Nobel dei suoi professori. In chiusura una riga rammenta che secondo alcuni il valore delle università non può misurarsi sulla base di dati finanziari e quattro righe affermano che, però, alcune università assumono questi dati come una colpa e cercano di emendarsi, ma senza troppo successo. Per il resto parecchie centinaia di righe spiegano con cifre e grafici che le università costano troppo per i finanziatori pubblici e privati, e rendono sempre meno in termini di successo e retribuzione dei graduates.
Secondo il settimanale, per le università la sola speranza sono i Massive open online courses (Moocs). Sottolineare le grandi potenzialità della rete per migliorare la qualità degli insegnamenti e ampliare gli accessi serve all’articolo per tutt’altro discorso: basta campus comuni e frequenze onerose per i poveri studenti, dispendiose per le finanze pubbliche e private, prolungate oltre gli anni minimi necessari per laurearsi. Evviva invece le università a distanza in cui,
solus ad solam, lo studente isolato si gode quando e come vuole la lezione del prof, e quando e come vuole si sottopone a test di esame a costi minimi senza ciondolare e perdere tempo.
L’analisi dell’Economist ha l’aria d’un discorso sulla nuora Stati Uniti perché intendano le suocere universitarie del mondo.
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